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Dazi, autarchia e conflitti: il futuro distopico che attende il mondo

Nel mondo distopico prossimo venturo tutto si tiene. Pace e guerra. Sviluppo e arretratezza. Mercato e autarchia. Povertà e depredazione. Tolleranza e suprematismo. Libertà e dittatura. Democrazia e imperialismo. Realtà e mistificazione. Storia e narrazione. Cultura e abbrutimento. Sapienza e ignoranza. Nel mondo distopico prossimo venturo non vi sarà differenza tra i termini di quelle dicotomie. Guerre e pace coincideranno. Arretratezza e sviluppo saranno le due facce della stessa medaglia. Autarchia e mercato saranno costrette in un unico recinto. Depredazioni e povertà si apprezzeranno a vicenda. Suprematismo e tolleranza si annulleranno. Dittatura e libertà si confonderanno. Imperialismo e democrazia andranno a braccetto. Mistificazione e realtà diventeranno complici. Narrazione e storia si fagociteranno. Abbrutimento e cultura urleranno all’unisono e l’ignoranza renderà vana la sapienza. L’umanità intera sarà addomesticata e, suo malgrado, addestrata ad azzerare ogni contrapposizione a favore del nulla distopico. Le città saranno scandite da gigantesche ampolle sature d’ossigeno e nei prati pascoleranno tecnologiche pecore elettroniche.

Gli androidi popoleranno gli spazi saturi di irrespirabile anidride carbonica e i cieli saranno percorsi da navi spaziali abitate da magnati in fughe interplanetarie. La civiltà per come l’abbiamo conosciuta dalla notte dei tempi svanirà e all’orizzonte prenderà consistenza la profezia di Einstein e gli uomini combatteranno la loro prossima guerra con la clava e le mascelle d’asino come Sansone. Ma prima ci sarà il regolamento dei conti tra le teste del cerbero per stabilire chi dominerà il mondo distopico. Un mondo dove i vincitori si muoveranno tra statue a loro dedicate in mezzo alle macerie di Gaza o di Mariupol, tra i grattacieli di Taiwan o tra le periferie di Khartoum. Perché conditio sine qua non per la costruzione della civiltà distopica è che delle tre teste del cerbero ne sopravviva solo una. Cosa assai improbabile. Anzi, addirittura impossibile.

Nel frattempo, al pari di una metastasi inarrestabile, ovunque proliferano le violenze e false guerre commerciali si combattono in attesa della fine dell’economia di pace funzionale al vecchio mondo e dell’arrivo dell’economia di guerra passaggio obbligato per il nuovo. La distruzione di Gaza, con l’azzeramento della sua identità e l’annientamento della sua popolazione, fa il paio con la distruzione dello Yemen da tutti dimenticato. L’Afghanistan, precipitato nell’inferno di leggi soffocanti contrabbandate per disposizioni divine fa pendant con l’Iran disperatamente aggrappato a guardiani della rivoluzione e carcerieri per salvaguardare la sua sfilacciata teocrazia. Il Sudan, martoriato da guerre mercenarie, si riflette nelle inarrestabili lotte intestine dell’intera fascia sub-sahariana alle prese con i guasti dei vecchi colonialismi e le ipoteche dei nuovi imperialismi. Gli Huthi combattono una guerra per procura nello stretto di Hormuz per allentare la tensione yemenita. In Ucraina si combatte una guerra senza fine tra volontà di essere e sopraffazione. In estremo Oriente la Corea del Nord con il dittatore Kim Jong-un si esercita alla guerra atomica e manda i suoi soldati a combattere contro gli ucraini. Ai confini russi e cinesi fremono le tensioni. Sulle sponde del Mar Baltico rivive lo spettro degli stupri sovietici evocati dall’erede del Kgb che tiranneggia le Russie. E il Tibet attende con pacifica rassegnazione di ritrovare la sua indipendenza.

Una marea intrisa di violenza sembra essersi impadronita del mondo. Un fiume di armi lo attraversa con mille diramazioni alimentate dai medesimi fornitori. Si coltiva l’energia nucleare con l’intendo di arricchire il proprio arsenale distruttivo. Si sviluppa la tecnologia satellitare per combattere guerre sicure e si insegue l’intelligenza artificiale per renderle insicure. Intanto il cerbero sviluppa sofisticate soluzioni per incutere timore ed esportare armi e paura. Gli emuli fanno altrettanto. L’industria della guerra non è mai stata così florida. L’equivalente di miliardi e miliardi di euro e di dollari viene stanziato per programmi di armamento. Chi produceva auto si attrezzerà per produrre carri armati. Chi produceva aerei civili si organizzerà per riconvertire le proprie fabbriche. Chi sviluppava tecnologie e conoscenze per la sicurezza dell’umanità e il suo benessere si preparerà a una rapida riconversione. Chi produceva navi da crociera metterà in cantiere corazzate, sommergibili, cacciatorpediniere e portaerei. D’altronde i flussi turistici vanno a contrarsi. In America siamo al -15% di voli venduti: chi vuoi che vada nel Paese dove, se smarrisci il passaporto, diventi un clandestino e finisci ad Alligator Alcatraz?. E chi vuoi che vada in Russia, a parte chi ha un rapporto di devozione con il dittatore? E in Cina? C’è stato un tempo in cui i ragazzi saltavano sul primo aereo per andare a Shanghai, restarci qualche giorno e ripartire per chissà dove. Oggi anche i cinesi, sin qui vissuti da invisibili in Occidente, non sentono la nostalgia del ritorno. E le navi? Le crociere che partivano da Odessa? E quelle che salpavano da San Pietroburgo? E i pellegrinaggi in Terra Santa? È certo che il turismo internazionale si contrae. A breve faremo i conti. Ma le imprese hanno le antenne, dunque la riconversione in chiave bellica è in agenda. E anche senza frapporre troppi indugi.

Non contano più nemmeno le differenze ideologiche o di regime. Conta la comune volontà di dominio, uguale dappertutto. E si sta manifestando in tutta la sua potenza distruttiva. Resta il continente europeo ancora incredulo o speranzoso o in fibrillazione a seconda delle latitudini e dei governi. Perché anche qui suprematismo e dittatura travestiti da democratura avanzano, attratti da una o dall’altra testa del cerbero. Qualcuno è convinto anche che il cerbero a teste unificate troverà alla fine la quadra e imporrà la sua legge a tutti.

E comunque anche qui gli effetti della metastasi cancerogena dell’iper-capitalismo finanziario ha prodotto i suoi effetti. In termini di impoverimento generale, di caduta della ricchezza disponibile e redistribuita, di fiducia nell’avvenire. Restano i super ricchi. Quelli che si possono spostare, ovviamente nei luoghi ben protetti loro consentiti. Il villaggio globale non esiste più. Torna la preoccupazione autarchica. Certo, è vietato enunciarla a chiare lettere ma è quella la direzione. Cammina di pari passo con la guerra e l’economia che si attende anche in Europa è un’economia di guerra. Altro che mercato interno che pure ha delle potenzialità formidabili mai esplorate. Si dovrebbe mettere in cantiere l’integrazione del continente europeo, invece si preferisce seguire la corrente o meglio la deriva planetaria. E allora bisogna riportare in casa le industrie. A cominciare da quelle che producono i beni di prima necessità. La lezione del Covid, con l’Europa costretta a importare mascherine da ogni dove pagandole l’ira di Dio e foraggiando ogni tipo di corruzione, ha fatto da apripista. Il guaio è che l’Europa, in particolare l’Italia e quel gigante della Germania, si sono strutturate per esportare non per alimentare il mercato continentale che, quanto a capacità di spesa, è il più ampio del mondo. Un bel guaio con l’uragano scatenato dapprima dalla voglia di guerra dello Zar russo e quindi dalla voglia di rifare grande l’America del suo emulo statunitense.

I dazi si ritorcono come un boomerang anche quando pensi di aver vinto. Siamo alla rappresentazione di una commedia che tutti sanno essere falsa e destinata esclusivamente a raccogliere l’applauso in casa. Il 15% di dazi tra gli Usa del magnate aspirante al seggio di “imperatore d’America” e l’Europa della “equilibrista teutonica” esperta in torsioni di pensiero oltre che di alleanze, è un bel risultato. Rispetto alla vecchia aliquota del 5% un bel balzo in avanti per la propaganda del Tycoon. Rispetto al 30% ventilato è una grande vittoria, risponde la grigia statista europea. Certo, il Tycoon può vantarsi di aver costretto l’Europa a sedere nel suo salotto e ad attenderlo tra una partita di golf e l’altra nel resort scozzese. Ma sono dettagli. Il prestigio del vecchio continente? C’è altro in gioco. Ed è vero. Le forniture d’armi per esempio, ovviamente dei produttori Usa agli infingardi europei per troppo tempo accucciatisi furbescamente nella Nato a trazione statunitense. E gli investimenti sempre degli europei in Usa anche e gli acquisti di gas per compensare il gas russo in attesa del gas africano o asiatico, chissà. In Italia il Governo ha riesumato la memoria di Mattei per questo, in Algeria. E poi ci sono le questioni specifiche. Per esempio i dazi sugli acciai e i metalli. Non scherziamo. In tempi di riarmo la loro natura strategica va difesa senza tentennamenti. Restano i dazi del 50% se qualche europeo vuol esportare e se proprio qualche sprovveduto di americano vuole importare. Sono beni vitali per un Paese in guerra o che comunque è impegnato ad armare il mondo a cominciare proprio dagli europei. E l’industria dell’aerospazio? Per quella i dazi li lasciano a zero. Troppo integrato il settore. Prendi Grottaglie, Puglia, provincia di Taranto: Leonardo-Alenia e Boeing, vai a dividerli. Resta il nodo del vino e degli alcolici. Se ne riparlerà. E i farmaci? Se ne riparlerà a tempo debito. Questo è solo il primo round.

Ragazzi, il mondo è cambiato. Mettetevelo ben in mente. Autarchia per sé e catene per gli alleati soprattutto se questi sono imbelli, come gli europei. Dal canto loro gli europei, lo sanno che il mondo è cambiato. Il guaio è che se ne sono accorti troppo tardi. Vai a recuperare i divari tecnologici. O a creare il mercato interno. Meglio riconvertire le fabbriche e mettersi d’accordo con il Tycoon. E allora l’industria automobilistica, produca carri armati. E Leonardo, produca aerei e navi da combattimento altro che satelliti per la sicurezza dei cieli europei. Al netto della propaganda, ha vinto il cerbero. Ha vinto la testa americana del cerbero stavolta ben supportata dagli emuli europei, a cominciare dal sistema industriale che deve riconvertirsi in vista dell’arrivo dell’economia di guerra. Perché le guerre non si fermeranno e anzi avanzeranno su tutto il pianeta, con buona pace di illusi e propagandisti, in attesa che si giunga alla pace di un mondo distopico. Ma quello di adesso è il tempo delle guerre e dell’economia di guerra.

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