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Dallo Stato ipocrita solo briciole per il Sud

Il finanziamento del sistema sanitario nazionale è un meccanismo complesso gestito dallo Stato e dalle Regioni, articolato su tre distinte fonti. La prima: entrate proprie delle aziende del Servizio sanitario nazionale, provenienti da ticket e ricavi dall’attività intramoenia dei dipendenti. La seconda: fiscalità generale delle Regioni, in particolare l’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) e l’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche. La terza: trasferimenti a carico del bilancio dello Stato attraverso la compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto e attraverso il Fondo sanitario nazionale.

Il finanziamento statale dovrebbe assicurare il raggiungimento dei livelli essenziali di assistenza (Lea, organizzati in prevenzione collettiva e sanità pubblica; assistenza distrettuale; assistenza ospedaliera) per tutti gli italiani, ed è chiaro che per effetto di una diversissima capacità fiscale delle Regioni, la parte essenziale è affidata proprio ai trasferimenti statali che dovrebbero assumere, in una economia dualistica come quella italiana, un carattere essenzialmente perequativo.

L’ultima delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (8 febbraio 2023) assegna al servizio sanitario nazionale, per l’anno 2022, euro 125.216.000.000, di cui 119.724.161.744 sono destinati al finanziamento indistinto dei Lea. Il 35% di queste risorse è assegnato alle tre Regioni più popolose (alla Lombardi euro 20.101.465.005,32, al Lazio 11.514.885.245,91 e alla Campania 11.046.645.613,11).

Dal 2011 a oggi, la quota di finanziamento statale è cresciuta del 16%, segno di una sofferenza dei sistemi sanitari locali, soprattutto nel Mezzogiorno. Nelle regioni meridionali, infatti, il problema è costituito dalle più difficili condizioni economiche e sociali che inficiano fortemente il ricorso a risorse fiscali locali. Un aumento di un punto percentuale dell’addizionale Irpef in Lombardia è destinata a produrre un gettito di circa 1.700 milioni di euro, di 730 in Veneto, di 710 in Emilia-Romagna, ma di soli 170 milioni in Calabria (dati de La Voce.info). In questo quadro una riduzione del finanziamento statale, anche se modesta, rischia di compromettere, in una regione del Sud, la tenuta, già precaria, del sistema sanitario. E nulla assicura che lo Stato continuerà a stanziare in futuro somme sufficienti per le regioni in difficoltà.

Dal 2013, il fabbisogno sanitario nazionale standard, è infatti determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo del Paese e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, cioè è subordinato a vincoli “esogeni” alle effettive necessità del sistema sanitario. Del resto gli stessi Lea sono subordinati a diversi indicatori legati al rispetto della programmazione nazionale; ai costi medi; a standard di appropriatezza, di efficacia e di efficienza che ovviamente già penalizzano fortemente le regioni meridionali. Il colpo di grazia a quello che resta di una sanità nazionale sarà dato dall’autonomia differenziata che spazzerà via l’ipocrisia di leggi che affermano formalmente il principio dell’unità nazionale per poi negarlo nei fatti. A quel punto sarà evidente che sotto il cielo d’Italia “una gente impera e l’altra langue”.

Rosario Patalano è economista

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