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Dalle comunità energetiche una soluzione al caro bollette

Caro bollette, dipendenza energetica, crisi climatica: problemi enormi che colpiscono tutti, ma nel Mezzogiorno diventano un’emergenza. Eppure, il Sud ha una ricchezza che ancora sfrutta troppo poco: il sole, il vento, la possibilità di produrre energia pulita direttamente nei territori. Le Comunità energetiche rinnovabili (Cer) sono la chiave per trasformare questa risorsa in sviluppo. Si tratta di gruppi di cittadini, imprese ed enti locali che si uniscono per produrre e condividere energia rinnovabile. Non solo abbassano le bollette, ma guadagnano dall’energia immessa in rete. Un modello che già funziona in alcune realtà del Sud.

A Ferla, in Sicilia, il comune ha creato una Cer che alimenta scuole ed edifici pubblici. A Napoli Est, un quartiere segnato dal disagio sociale, una comunità energetica sta portando energia gratuita a famiglie in difficoltà. In Calabria, un gruppo di piccoli imprenditori ha avviato una Cer che riduce i costi dell’energia per aziende agricole e artigianali, rendendole più competitive.

Le Cer non sono solo una soluzione ecologica, ma una leva di sviluppo. Nel Sud, dove le famiglie e le imprese faticano più che altrove a sostenere i costi dell’energia, creare comunità energetiche significa liberare risorse per altre attività, rendere le aziende più competitive, attrarre investimenti e generare lavoro. Oltre ai vantaggi economici, c’è un impatto sociale fondamentale: una Cer è una rete di persone che si organizzano, che costruiscono insieme un modello di autonomia e cooperazione. È un modo per riportare il controllo dell’energia nelle mani di chi vive il territorio, evitando che i profitti finiscano sempre nelle casse dei grandi gruppi energetici.

Ma se le Cer sono così vantaggiose, perché non sono già diffuse ovunque? Il problema principale è la burocrazia: creare una comunità energetica richiede iter lunghi e complessi, autorizzazioni macchinose e una gestione tecnica che non tutti i comuni e le imprese possono affrontare da soli. Poi ci sono gli ostacoli infrastrutturali: in molte zone del Sud la rete elettrica non è pronta a gestire una grande quantità di energia distribuita. Infine, c’è la resistenza dei grandi operatori energetici, che vedono nel modello delle Cer una minaccia al loro consolidato monopolio.

Il nuovo decreto Cer (decreto 414/2023), in vigore dal 24 gennaio 2024, introduce incentivi importanti: chi produce e condivide energia può ottenere una tariffa incentivante e i piccoli comuni possono ricevere fondi per avviare le comunità energetiche. Ma non basta. Se vogliamo davvero che il Sud possa sfruttare questa opportunità, serve un’accelerazione concreta. Le procedure devono essere più semplici, la burocrazia ridotta e i tempi per autorizzazioni e connessioni alla rete devono essere certi. Nei comuni sarebbe necessario aprire sportelli dedicati che possano assistere cittadini e imprese nella creazione delle Cer, perché non tutti hanno le competenze per affrontare un percorso così complesso. Servono anche fondi per potenziare la rete elettrica, in particolare nelle aree interne, dove spesso la distribuzione dell’energia è ancora fragile e inadeguata. Un ruolo chiave lo devono giocare anche le imprese locali, che vanno coinvolte maggiormente per creare un indotto capace di generare lavoro e innovazione direttamente sul territorio.

Le Cer sono una delle strade più concrete per cambiare il destino energetico del Mezzogiorno. Non si tratta solo di energia, ma di sviluppo, di comunità, di un Sud che torna a investire su se stesso.

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