“Crepa” è una parola che vibra di ambivalenze. Nell’urlo della strada, è un ordine di morte. Nella materia, è una linea sottile che rompe la compattezza. Nell’esistenza, è lo spazio in cui la nostra vulnerabilità si rivela, dove il perfetto si incrina lasciando passare un filo di luce.
Nella modernità liquida, in cui il sé si disperde tra like e visualizzazioni, molti narcisisti digitali devono nutrire i propri follower con brandelli di sé in diretta, ogni giorno. Hanno crepe interiori che li attraversano, ferite non sanate che diventano spettacolo. E in un mondo dove tutto si trasforma in contenuto, anche la sofferenza viene mercificata, diventando un frammento utile a guadagnare attenzione, un click in più, un “cuore” in più.
Non è vulnerabilità autentica, ma vittimismo performativo. Non è confessione per trovare sollievo, ma esposizione per ottenere consenso. Queste crepe vengono gettate sul palcoscenico digitale con ineleganza, senza ascolto, senza cura, spesso proiettando sulle altre colpe che non si riesce a riconoscere in sé. Il vuoto interiore viene rivestito di slogan motivazionali, la fragilità si trasforma in moneta di scambio in un’economia dell’esibizione.
Ma le crepe vere non fanno rumore. Esigono silenzio, soste, riflessione. Non chiedono like, ma ascolto interiore. Non sono urla da timeline, ma varchi da attraversare per riconciliarsi con la propria umanità imperfetta.
Byung-Chul Han ci ricorda che la società della trasparenza cancella la profondità. Heidegger ci parla della necessità del velamento per custodire ciò che ha valore. Viviamo in un’epoca che confonde la sincerità con l’esposizione compulsiva, senza capire che la cura delle proprie crepe è un cammino intimo, non un palcoscenico.
La crepa è la possibilità di una rinascita, se accettata e abitata con responsabilità. È ciò che ci rende vivi, non prodotti. È un segno di umanità, non un hashtag.
Non sarà la dittatura di un algoritmo a gestire i passaggi emotivi di un tempo attuale che presenta ambivalenze.
Ma serve la consapevolezza che gli algoritmi determinano emozioni e comportamenti nel qui ed ora, e al contempo serve una forte azione politica di educazione al digitale e per tutta la popolazione. Siamo in un tempo di cambi iper-veloci, anche della grammatica esistenziale, e serve la capacità di stare nelle relazioni umani che hanno risvolti nelle dinamiche relazioni veloci.
Tommaso Pasqua è criminologo ed esperto di welfare
Bentornato,
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