Qualche giorno fa a Bari e in altre sei piazze d’Italia tanti si sono mobilitati per dire no alla guerra, a qualsiasi tipo di guerra, perché la guerra è sempre distruzione, sofferenza, morte. Ma perché non pensiamo di costruire giorno dopo giorno una cultura di pace, iniziando dalle parole, perché le parole sono importanti e strutturano convinzioni, credenze, schemi.
Siamo così abituati a usare termini violenti e bellici, che poi la guerra fa anche meno impressione! Pensiamo al “guerriero” che si accinge a sostenere una chemioterapia o alla “lotta” al cancro di cui leggiamo su manifesti e giornali.
Per non dimenticare la nostra recente “guerra” al virus pandemico, ai medici “in prima linea”, a volte proprio “in trincea” negli ospedali e ai nostri anticorpi che difendono l’organismo dagli “attacchi” degli agenti patogeni. Per non parlare del “cannoniere” o “attaccante” che tira una “bomba” o lancia un “siluro” nella porta avversaria, sbaragliando la difesa. Inoltre innamorati non vogliamo conquistare una donna con qualsiasi arma, perché “in amore e in guerra” è tutto lecito? E se provassimo a cambiare linguaggio? Forse potremmo riscoprire un po’ di serenità in più, imparando a navigare tra le difficoltà della vita invece che combatterle a colpi di “artiglieria verbale”.
Potremmo tornare a immaginare il lavoro come un progetto invece che come una missione da portare a termine a tutti i costi, la domenica esultare per la rete segnata dal goleador della nostra squadra e in amore potremmo semplicemente amare.
Bentornato,
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