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Contratti e premi di produttività: l’occasione che il Sud non può perdere

C’è una buona notizia, nel mondo del lavoro, che è passata quasi del tutto in sordina. Si tratta della conferma della riduzione della tassazione sui premi di produttività riconosciuti ai dipendenti fino al 2027. Perché si tratta di una buona notizia? Semplice: parliamo di uno strumento che, nello stesso tempo, contribuisce ad aumentare il reddito dei lavoratori e a rafforzare la produttività delle imprese. Le note dolenti, però, non mancano.

Già, perché la diffusione dei contratti con premio di produttività riflette il forte divario tra Nord e Sud, visto che da Roma in su questo fondamentale strumento è ancora molto più utilizzato che non da Roma in giù. E questa, per il Mezzogiorno, è un’occasione sprecata. Partiamo, come sempre, dai dati. Nell’arco del 2024 i premi di produttività sono stati protagonisti di una forte diffusione, visto che i contratti depositati hanno sfiorato quota 19mila con un incremento del 14,5% a livello nazionale. Il valore medio del premio ha superato leggermente i 1.500 euro l’anno. A questo proposito va ricordato che sui premi corrisposti ai lavoratori fino al 31 dicembre scorso era applicata un’aliquota per l’imposta sostitutiva che dal primo gennaio 2023 è pari al 5%, dunque dimezzata rispetto al precedente 10%.

La Manovra per il 2025, come anticipato, ha confermato il taglio della tassazione al 5% fino al 2027. I contratti con premio di produttività si propongono di raggiungere finalità diverse: 15.316 obiettivi di produttività, 12.041 di redditività, 9.525 di qualità. Il numero di lavoratori beneficiari è pari a 5.113.763, di cui 3.679.180 riferiti a contratti aziendali e 1.434.583 a contratti territoriali. Il problema, come ha opportunamente osservato Giorgio Pogliotti sulle pagine del Sole 24Ore, è che la distribuzione geografica è ancora sensibilmente sbilanciata a favore delle aziende localizzate nelle regioni settentrionali, il che l’esistenza di forti divari territoriali: il 74% dei contratti depositati al ministero del Lavoro riguarda imprese del Nord, il 17 del Centro e soltanto il 9 del Sud.

Per quest’ultimo è un vero peccato, se si riflette sui vantaggi connessi al premio di produttività: incoraggia i dipendenti a essere più efficienti e a ridurre gli sprechi, premia il personale meritevole, rafforza la motivazione e l’autostima di quella stessa forza lavoro, contribuisce a trattenere i talenti. Soprattutto, però, il premio di produttività assicura un reddito maggiore ai lavoratori e questo è un aspetto fondamentale proprio al Sud dove, secondo la Cgia di Mestre, gli stipendi sono mediamente più bassi del 35% rispetto al Nord, con le punte più basse a Cosenza, Nuoro e Vibo Valentia.

E all’origine di questo divario retributivo c’è innanzitutto l’evidente dislivello di produttività tra le imprese del Nord e quelle del Sud: il valore della produzione di un’azienda meridionale è inferiore al valore della produzione di un’azienda settentrionale, il che significa che, a parità di fatturato, da Roma in giù si registrano profitti e, di conseguenza, salari più bassi.

Ecco perché è un bene che la Manovra per il 2025 abbia confermato la tassazione agevolata sui premi di produttività riconosciuti ai lavoratori. Adesso, però, bisogna fare in modo che questo strumento si diffonda ulteriormente soprattutto al Sud. Può essere la strada giusta per contrastare in maniera efficace il lavoro povero, che nel Mezzogiorno penalizza soprattutto le donne e chi vive nelle aree interne, e per dare una spinta decisiva alle performance delle aziende, rendendole finalmente più competitive e soprattutto più ricche.

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