Quindi da un lato si scopre, come fosse una novità, che i giovani meridionali se ne partono verso il Nord e le metropoli continentali in cerca di quel che resta della globalizzazione; dall’altro si predica o si auspica il loro ritorno senza tuttavia disporre di alcuna visione o strategia che dia confini e prospettive ad un futuro possibile.
Il ritorno di quanti sono partiti e continuano a partire non può essere frutto di nostalgia o configurarsi quale risvolto di una questione filantropica o addirittura quale risultato di una campagna propagandistica a mezzo social. Negli anni dominati dall’idea della diffusione del benessere economico in uno con la propagazione della libertà e della democrazia occidentale, la globalizzazione aveva allocato sulle sponde dell’Atlantico e del Mare del Nord i gangli del controllo di tecnologia, finanza, mercato azionario, comunicazione e marketing.
In quel contesto il Mezzogiorno italico, al pari di tutti i Sud del mondo, si giocava le proprie rarefatte chances sulla capacità di attrarre investimenti produttivi in cerca di costi bassi e risorse umane abbondanti e ben formate. L’esito non è stato dei migliori – e non poteva esserlo, date le premesse – se lo storico dualismo post unitario è rimasto tale sino a oggi, anzi è peggiorato. Il fatto è che non vi era spazio per un progetto nazionale condiviso, anzi il sovraffollato Nord italico cercava di sottrarre al Sud tutto quel che era possibile, a cominciare dagli investimenti, per mantenere la velocità dei concorrenti d’oltreoceano e di quelli del Mar del Nord.
Al di là delle buone intenzioni, sempre affermate e mai diventate azioni mirate, e al di là degli sforzi di alcune realtà accreditatesi come eccezioni virtuose nelle lande sottosviluppate, il risultato è stato e resta impietoso. Disoccupazione, abbandono, desertificazione delle aree interne e delle terre di mezzo, redditi, salari e stipendi in caduta libera, industrializzazione claudicante, ambiente compromesso, trasporti e logistica inesistenti, Asi e Zes incompiute e prive di identità, fondi nazionali ed europei falcidiati e dirottati. Metà Penisola lasciata andare alla deriva in un Mediterraneo derubricato a mare di passaggio regalato alle mire espansioniste delle potenze emergenti come la Cina o in cerca di spazi neo-imperialisti come la Russia, oltre che di trafficanti di esseri umani senza scrupoli, come i libici.
Adesso per di più arriva la crisi della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta sin qui. Il mondo non è più un villaggio globale in cui competere a suon di salari e stipendi bassi, manodopera abbondante, tecnici preparati e finanziamenti pubblici a buon mercato. Il pianeta è un teatro in cui le guerre commerciali promettono di essere dure e sanguinose, combattute a suon di dazi, di tariffe, profitti speculativi e consistenti rendimenti degli investimenti finanziari. Con richiami allettanti ed avvertimenti pesanti. Le guerre combattute con le armi, il fuoco e le distruzioni sono solo un complemento delle prime. Conta l’interesse degli imperi o dei continenti con aspirazioni imperiali. E questi sono abbarbicati nel cuore di essi. Le periferie, con le loro vecchie condizioni di vantaggio, non interessano più a nessuno. Quindi la diaspora dei laureati dal Sud, da tutti i Sud, è destinata a continuare, anzi ad accentuarsi. Come la desertificazione in vista della produzione di energia che chiamano pulita ma che compromette ambiente, agricoltura, biodiversità ed equilibri dei territori. Con buona pace dei produttori di slogan inutili e di illusioni senza fondamento.
Nei nuovi scenari la competizione è una partita a tre. Stati Uniti d’America, Cina e, forte del solo ricatto militare, la Russia. Come altrettante teste del Cerbero postosi a guardia del mondo, i tre imperi puntano ad affermare la propria supremazia in quello che ritengono essere il loro spazio vitale. “American first” e “America great again”, predicano i nuovi profeti americani. È esattamente quel che fa la Cina. Ed è quel che afferma per sé la Russia. L’America cala sul tavolo, o meglio sul mondo, la sua supremazia economica, finanziaria e tecnologica, esattamente allo stesso modo della Cina che in più si pone come contraltare rispetto agli Usa aggregando intorno a sé i Brics mentre la Russia digrigna i denti e si gioca la carta militare non possedendo un’economia all’altezza. Insomma, a guardar bene la vecchia e rassicurante globalizzazione non esiste più. “America first”, “Cina first”, “Russia first” e via dicendo. Intelligenza artificiale, algoritmi, robot e, in prospettiva, androidi, hanno reso inutile la classica, tradizionale, meravigliosa manodopera umana e di conseguenza l’allocazione delle imprese presso l’epicentro dell’impero diventa irrinunciabile e da perseguire in tutti i modi, piacevoli e spiacevoli. Ovverosia, tasse, tassi, dazi, tariffe, agevolazioni o ostacoli burocratici e via di questo passo. I social media fanno il resto e questi sono tutti in mano agli oligarchi-magnati degli imperi. Come il parco satellitare per le comunicazioni, le connessioni e la sicurezza planetaria. L’iper capitalismo, metastasi del liberismo e dello statalismo, ha vinto dappertutto. Almeno per adesso.
In realtà vi è un motivo obbligato che spinge i nuovi imperi in questa direzione. Anzi due. Il primo è legato alla necessità di conservare-incrementare il dominio degli oligarchi-magnati in casa e nel mondo, per quello che gli altri consentono. Il secondo è legato alla necessità di sostenere i costi dell’assistenza verso una popolazione in prospettiva sempre più emarginata se non esclusa dai processi produttivi e quindi da sostenere con programmi assistenziali che devono garantire la sua sopravvivenza mantenendola al riparo da tentazioni di protesta o peggio rivoluzionarie che mettano a rischio il dominio dei plutocrati sul proprio paese, nel continente, nel mondo. Ovvio che ciascuna testa del Cerbero deve preservare la supremazia del proprio impero sia pure con strategie e mezzi diversi.
In Occidente l’America trumpiana minaccia e blandisce i vecchi alleati invitandoli a correre dall’altra parte dell’Oceano e magari abbandonando al suo destino anche il vecchio Mare del Nord. Stellantis (già Fiat-Peugeot) pensa seriamente a correre alla corte del “monarca americano” e – notizia di questi giorni – anche Bernard Arnault, padrone francese del polo mondiale del lusso. Tra minacce di dazi e promesse di azzeramento (più o meno) delle tasse è difficile resistere.
E l’Europa? È la grande assente nel nuovo scacchiere. Soprattutto l’Europa che pretende di far pagare (iniquamente a detta degli interessati ) le tasse ai colossi che producono, vendono, comunicano, trasportano, erogano servizi al di fuori dei contesti territoriali definiti e quindi difficilmente controllabili. Lo stesso destino incombe sull’Europa che intende difendere le prerogative o i privilegi del suo cuore nordico che ormai è antico anch’esso e pure sofferente (Germania insegna). Il paradosso è che essa, tutta intera, questa volta, senza distinzione tra Nord e Sud, rischia di divenire periferia dell’impero americano o terra di conquista dell’impero cinese o cuscinetto delle ambizioni russe. Sperare di far ripartire lo sviluppo a Sud, dalla Campania alla Calabria, da Puglia e Basilicata alla Sicilia, senza dimenticare Molise e Sardegna, in queste condizioni è pura immaginazione. Quei pochi campioni o eccezioni qui nati o attecchiti saranno fortemente tentati, insieme ai loro colleghi, di riposizionarsi alla corte dei nuovi “sovrani” che promettono di non andarsene più e comunque non facilmente (e nemmeno pacificamente, se si rammenta il fallito assalto a Capitol Hill di quattro anni fa).
E torna la domanda: quale destino si va configurando per l’Europa? Al momento è lì, annichilita, incredula, stretta tra desideri nazionali(sti) e sovranisti in lotta tra loro per accaparrarsi il potere a casa propria e accreditarsi, a scapito degli altri, alla corte di uno o dell’altro fra i nuovi padroni del mondo. In questo caos perfetto arriva la suggestione del magnate, “principe ereditario” d’America, ossia la dottrina Mega (Make Europe Great Again), ovviamente fotocopia sbiadita della Maga (Make America Great Again). Come? Annullando le identità, diventando ancella dell’impero e sua appendice, togliendo tasse a chi ci sta e alzando i dazi a chi non ci sta, spingendo perforazioni, carbone, petrolio al massimo in uno con le fantasmagoriche applicazioni dell’intelligenza artificiale e delle miracolose soluzioni tecniche da essa realizzate. L’inflazione? L’aumento dei tassi di interesse? La lievitazione dei prezzi? Si continuerà a contrastarli tenendo fermi e bassi salari e pensioni, riducendo a pura assistenza lo Stato sociale, restringendo i confini della sanità pubblica sino a farla scomparire, allargando le sfere di dominio dei potentati privati e depotenziando scuola e università che per sopravvivere dovranno sposare la religione Mega o Maga. E la felicità di popoli e individui? Sarà sostituita dal riflesso di quella dei potenti e ricchi padroni del mondo. Il benessere? La salute? Quisquilie. Il vero problema è l’equilibrio del mondo e quello va lasciato alle forze incontrollabili della natura, aiutata, magari, da virus e batteri. Lo diceva già Thomas Robert Malthus nel Settecento.
Davvero diventa difficile immaginare un futuro per il Sud in uno scenario simile. È difficile per l’umanità e per la stessa Europa, figurarsi per il Sud. E allora? Ancora una volta è il Mediterraneo, che attende paziente, l’alternativa europea che può salvare anche il mondo. Un’Europa finalmente proiettata nel Mediterraneo potrà restituire il necessario equilibrio al mondo intero oggi costretto a reggersi su tre gambe in perenne lotta tra di loro. Ricercando, finalmente, la cooperazione tra i tre continenti che su di esso convergono e che rappresentano una straordinaria prospettiva di pace e di sviluppo per l’intera umanità. Non c’è tempo da perdere. Non si tratta di un’opzione tra tante. Essa è l’unica opzione a disposizione di un’Europa che voglia ritrovare la sua unità e giocare un ruolo da protagonista tra Usa, Cina e Russia. Anche l’integrazione continentale non sarà più un problema e il dualismo tra Nord e Mezzogiorno scomparirà d’incanto. Anche in Italia.
Bentornato,
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