Forse non tutti sanno che oggi è la Giornata nazionale del dialetto ovvero la data in cui si celebra la nostra lingua materna, quella delle radici. Perciò, in un mondo sempre più globalizzato, evviva il dialetto, anzi, evviva i dialetti: tutti! Anche quello bitontino nel quale la zanzara diventa: a zambèune!
Scherzi a parte, la speranza è che esso, oltre ad essere una lingua d’uso e quotidiana, rimanga anche una lingua letteraria, poetica, capace di raccontare le emozioni e le passioni di tutte e tutti noi. Perché chi parla bene la sua lingua è padrone della sua vita. Ed invece è sempre più frequente il suo uso, specialmente sui social, in maniera superficiale, sgrammaticata.
Anche in tv il dialetto diventa macchietta, surrogato, vittima di un’aggressione costante e di una barbara semplificazione e massificazione. Quasi che le lezioni di Eduardo e di Gilberto Govi – su quello stesso mezzo – non siano servite a nulla. Che peccato! Questo non accade nel comico, un genere così manifesto da potersi permettere qualsiasi cosa.
C’è stata addirittura un’epoca, quella della trasformazione del cittadino in consumatore, in cui il linguaggio pervasivo dei media ci ha costretti ad adottare un italiano “medio” con il quale era più facile vendere merce e prodotti. Ed è lì che abbiamo cominciato a vergognarci della cadenza, delle vocali troppo aperte o troppo chiuse. Errore! Mai nascondere le proprie origini. Certo, parlare bene è un dovere, ma rinnegare i propri natali è deplorevole. A volte il valore onomatopeico del suono originario non ammette paragoni. Ci sono cose che si possono dire solo in dialetto, altrimenti perdono di effervescenza. Perciò, pur rispettando le altre, difendiamo la nostra identità non solo con i fatti, ma anche con le parole.