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Competenze e flessibilità, così l’IA può rivelarsi un’opportunità

Che la si intenda come opportunità o pericolo, alla luce delle nuove prospettive che è in grado di offrire o del suo inevitabile impatto sull’occupazione, l’intelligenza artificiale rappresenta una delle più grandi sfide che le imprese italiane e del resto del mondo sono chiamate ad affrontare. Ma qual è l’approccio che bisogna adottare?

Negli Stati Uniti e in Cina, l’intelligenza artificiale avanza sotto l’egida della tecnologia e del mercato, mentre nell’Unione europea è tutto un florilegio di normative che puntano a tutelare i diritti umani e i posti di lavoro. Nel Vecchio Continente un percorso accidentato e a tratti contraddittorio, avviato nell’ormai lontano 2019, ha portato all’emanazione di due direttive e di un regolamento: la prima riguarda la trasparenza con particolare riferimento alle condizioni di lavoro, la seconda il lavoro tramite piattaforma digitale e infine c’è il cosiddetto Ai Act. Questa disciplina di livello europeo si somma alle norme nazionali di recepimento, senza dimenticare lo Statuto dei lavoratori e la normativa sulla privacy. Insomma, la disciplina in materia di intelligenza artificiale è ormai consistente e articolata e muove in due direzioni: da una parte, gestire l’accresciuta capacità di fare calcoli, stime valutative, profilazioni personali e ipotesi predittive che la tecnologia porta con sé e che possono essere sfruttate a scopi produttivi; dall’altra, gestire l’impatto sull’occupazione proteggendo i lavoratori e scongiurando una “ecatombe occupazionale”.

Ecco, proprio in merito a quest’ultimo punto è lecito – se non addirittura doveroso – chiedersi quale strategia debba essere opportunamente adottata. Partiamo da un duplice presupposto: lo sviluppo e la diffusione dell’intelligenza artificiale recano con sé una sostanziale incertezza, visto che di questa forma di transizione digitale non si conosce la durata né l’esito, e un inevitabile cambiamento dell’organizzazione del lavoro, visto che quella stessa transizione digitale le mansioni per attività di data entry, call center, reportistica, trasporti e logistica, servizi finanziari e assicurativi e ruoli amministrativi.

Che cosa fare, dunque, nell’immediato? Ciò che appare indispensabile, come anche Francesco Bocconi ha spiegato sulle colonne del Sole 24 Ore, è potenziare gli strumenti di acquisizione e riqualificazione soprattutto per due fasce di lavoratori, cioè i giovani e gli anziani, che potrebbero risentire maggiormente della diffusione dell’intelligenza artificiale nel mercato del lavoro. In concreto, ciò vuol dire sfruttare e valorizzare le potenzialità di alcune forme contrattuali. Il primo esempio è quello dell’apprendistato, di fatto mai “decollato” dopo la riforma approvata nell’ormai lontano 2003. Altrettanto necessario è investire in un fondo competenze che sostenga l’upskilling per i giovani e il reskilling per i lavoratori più in là con gli anni. Completano il quadro i contratti flessibili, il lavoro su piattaforma digitale e gli appalti tecnologici che, in una fase come questa, possono risultare molto utili per far sì che l’occupazione possa adattarsi più facilmente ai cambiamenti in atto e alle caratteristiche delle nuove figure professionali. In altre parole, è giusto che il legislatore intervenga in materia di intelligenza artificiale a livello europeo e nazionale, con proprie normative, soprattutto nell’ottica di proteggere i livelli occupazionali in zone tradizionalmente depresse come il Mezzogiorno d’Italia.

Ma è altrettanto importante che vengano sfruttati gli strumenti che il diritto del lavoro già offre per favorire l’acquisizione delle necessarie competenze da parte dei lavoratori evitando che questi ultimi vengano sorpresi e travolti dalla transizione tecnologica in atto: investire sulle competenze è la strategia più saggia per fare in modo che l’intelligenza artificiale si riveli un’opportunità più che una “ghigliottina”.

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