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Com’è profondo il mare

Cento metri dalla riva. Una secca. Certo chi conosce il mare sa bene che le coste possono essere più pericolose dei cavalloni. Gli scogli affondano più delle onde, la riva non sempre è sicurezza dell’approdo. Del resto, è una sapienza antica ad insegnare che si può affogare in un bicchiere d’acqua. Ma non c’è proverbio che tenga. La secca di Crotone è stata fatale perché profondo è il mare dell’ingiustizia che ha sommerso le civiltà occidentali.

Le civiltà occidentali sono sempre più prigioniere di quella cultura del risentimento nella quale Scheler colse la manifestazione patologica della modernità, una vera e propria malattia determinata da una condizione di ‘chiusura’ “sentimentale” (prima ancora che razionale) nei confronti degli uomini e del mondo, governata dall’invidia e radicata in un atteggiamento di odio.

È una “peste emozionale” alla quale le categorie del politico attingono a piene mani con etichette spersonalizzanti: migranti irregolari, clandestini, africani, afgani, siriani. Non più persone ma un altro, un totalmente altro da noi, venato di minaccia, pregiudizi, ostilità da contenere con mura (vedi quello tra Messico e Usa), barriere di filo spinato, polizie (ai confini tra Grecia e Turchia, Macedonia, Croazia), sequestri, luoghi che cambiano nome di continuo ma hanno sempre lo stesso volto troppo simile a carceri dove imprigionare le speranze e le disperazioni di popoli in fuga da guerre, carestie e altre tragedie. Tutto trito e ritrito. Si rischia l’abisso della retorica.

Meglio fermarsi e lasciare la voce alla chiaroveggenza della poesia di Lucio Dalla: «Con la forza di un ricatto … l’uomo diventò qualcuno … Innalzò per un attimo il povero ad un ruolo difficile da mantenere. Poi lo lasciò cadere, a piangere e a urlare. Solo in mezzo al mare com’è profondo il mare. E il povero come un lampo nel cielo sicuro cominciò una guerra per conquistare quello scherzo di terra che il suo grande cuore doveva coltivare … Ma la terra gli fu portata via compresa quella rimasta addosso. Fu scaraventato in un palazzo, in un fosso. Frattanto i pesci dai quali discendiamo tutti assistettero curiosi al dramma collettivo di questo mondo che a loro indubbiamente doveva sembrar cattivo».

Giuseppe Losappio è professore ordinario di Diritto penale all’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

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