Forse non tutti sanno che sta emergendo nel Mezzogiorno un tessuto imprenditoriale pronto a cogliere le sfide poste dai cambiamenti del nostro tempo e attento alle nuove opportunità (del Pnrr, ma non solo). E che il sistema delle imprese del Mezzogiorno è maggiormente coinvolto in progetti già avviati: nel Sud siamo al 15% contro 11% della media italiana. E non solo. C’è di nuovo da sapere che cresce la quota meridionale delle imprese che investono, per quanto in settori per lo più tradizionali: nel Sud si è passati dal 34 al 49% nell’ultimo anno, mentre in Italia si va dal 36 al 41%. Forse non tutti lo sanno, anche perché siamo assuefatti alla immagine di un Mezzogiorno come “area più arretrata del Paese” e il “malato dell’Europa”, incapace di recuperare un divario che si traduce in una zavorra per l’economia italiana, il segno più evidente di un declino che non si riesce ad arrestare. Lo evidenzia l’ultimo rapporto Srm, focalizzato sui punti di resilienza e ripresa dell’Italia che hanno nel Mezzogiorno più origine e slancio. È una indagine dell’Osservatorio del centro studi di Intesa Sanpaolo che lo dimostra, numeri alla mano: il Sud in tema di resilienza non deve imparare da nessuno, perché le aziende eccellenti del Mezzogiorno hanno più capacità di resistere e reagire alle condizioni critiche. Dall’indagine emerge anche che le aziende meridionali che puntano a investimenti innovativi hanno come bersaglio anzitutto la digitalizzazione (37,3% nel Mezzogiorno, 39,4% in Italia) e mostrano sempre più propensione a investire risorse superiori al 15% del fatturato: dal 38% del 2021 al 41 dell’anno in corso (mentre a Nord il rapporto passa dal 33 al 26%).
Una parte importante del sistema produttivo meridionale è integrata da sempre all’interno dei processi internazionali di produzione, ma Srm mette in evidenza un quadro in forte cambiamento rispetto al passato. Emerge l’avvio di un processo di selezione dei fornitori, con una tendenza generale verso un maggior utilizzo di fornitori nazionali: la quota di imprese che si avvale di fornitori localizzati all’estero passa dal 33 al 24%, risultato in controtendenza con la media italiana che registra un lieve incremento al 36. A ciò si affianca una crescita sostenuta della quota di imprese che utilizza in modo intenso input produttivi provenienti dall’estero: tra le imprese meridionali internazionalmente integrate a monte, la percentuale di quelle con almeno il 40% delle forniture dall’estero sul totale quasi raddoppia, passando dal 15 al 28%.
Nel contesto attuale di difficoltà diffuse in materia di approvvigionamento energetico, le imprese meridionali possono contare su un importante fattore competitivo, quale la capacità di auto-produrre energia: il 65% delle imprese del Mezzogiorno (45 a livello nazionale) copre attraverso produzione autonoma una quota dei propri consumi di energia, con previsioni di incrementare tale capacità.
Interessante il capitolo che riguarda la presenza delle imprese meridionali sui mercati esteri, dato che risulta in sensibile miglioramento rispetto all’indagine condotta lo scorso anno. «Sia nel Mezzogiorno che in Italia – si legge nel rapporto – si riduce la percentuale di imprese che ha come riferimento esclusivo il mercato nazionale. E cresce (dal 24 al 28%) la quota di imprese che ricava dai mercati esteri una quota rilevante di fatturato (oltre il 40). Tra queste le imprese con un’incidenza delle vendite all’estero superiore al 50% del totale passano dal 10 al 13 (in Italia dal 16 al 19).
Come per la passata indagine, si è approfondito il ruolo di tre regioni – Campania, Puglia e Sicilia – che rappresentano circa il 70% dell’area in termini di imprese manifatturiere e relativo valore aggiunto. Emerge un ruolo significativo nei progetti a valere sul Pnrr con il 21% delle imprese siciliane, il 13 di quelle pugliesi ed il 12 di quelle campane che si dichiara coinvolto in progetti già attivati. Guardando al futuro, l’ambito d’investimento innovativo prevalente è il digitale, indicato da ben il 52% delle imprese investitrici pugliesi, dal 44 di quelle siciliane e dal 41 di quelle campane.
Raffaele Tovino è dg di Anap