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C’è un mondo di guastatori che ignora il mondo

Guasto è il mondo, scriveva Tony Judt, poco prima della sua morte. Aveva visto lontano: il guasto non è una crepa passeggera, ma la frattura profonda di un sistema che si regge sulla diseguaglianza strutturale. Non è un guasto tecnico, riparabile con una vite stretta meglio o un bullone cambiato. È un guasto morale, politico, umano. I ricchi e i poveri ci sono sempre stati, certo. Ma mai come oggi la forbice è diventata una lama che recide legami, dignità, speranze. Joseph Stiglitz lo ripete da anni: «Il prezzo della diseguaglianza è la stessa democrazia».

Quando l’1% accumula ricchezze inaudite e il 99% si divide le briciole, non stiamo solo parlando di economia. Stiamo parlando di una società che abdica alla sua umanità. E allora la domanda si fa spietata: chi sono i “gustatori”? I gustatori di oggi sono anestetizzati dal consumo, sedotti dall’idea che la felicità coincida con il possesso, complici di un ordine ingiusto che hanno smesso persino di interrogare. Don Tonino Bello, uomo di frontiera e di profezia, ci ammoniva: «Non basta dare il pane, bisogna restituire la dignità». Non aveva paura di nominare l’ingiustizia, di chiamare le cose col loro nome. Diceva che la pace è «convivialità delle differenze».

Ma quale convivialità è possibile se l’intera tavola è sequestrata da pochi convitati di lusso, mentre milioni restano digiuni? Il guasto del mondo è l’indifferenza. È l’idea che tutto questo sia “normale”, che il povero sia uno scarto inevitabile, un effetto collaterale del progresso. È la rassegnazione di chi dice: «È sempre stato così». No, non è sempre stato così. La globalizzazione ha prodotto un’oligarchia mondiale che concentra potere e ricchezza, mentre interi popoli vengono spinti ai margini.

Ma attenzione: il guasto non è solo fuori di noi. È dentro di noi, nelle nostre scelte quotidiane, nel nostro consumo inconsapevole, nel nostro tacere davanti all’ingiustizia. Don Tonino ricordava che «il problema non è avere le mani sporche, ma averle in tasca».

E allora il compito di oggi è decidere da che parte stare. Non basta indignarsi, bisogna scegliere. Continuare a essere “gustatori sazi”, seduti al banchetto del privilegio, o diventare “riparatori del guasto”, persone capaci di rinunciare a qualcosa per restituire futuro a chi è stato derubato persino del domani. Il mondo è guasto, sì. Ma la domanda vera non è se il guasto esiste: è se noi abbiamo ancora il coraggio di metterci nei panni di chi non gusta nulla. Il tempo che ci resta non è molto: o impariamo a spezzare il pane e a ricostruire la tavola comune, o il guasto diventerà irreparabile.

Il mondo è guasto, sì. Ma non irreparabile. Lo diventerà solo se continueremo a restare commensali indifferenti. Altrimenti potremo ancora spezzare il pane, allargare la tavola, restituire volto e nome a chi è stato scartato. E allora sì, non saremo più semplici gustatori. Ma, come diceva Don Tonino, «seminatori di giustizia, costruttori di pace, uomini e donne capaci di speranza a piedi scalzi».

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