Caso Netanyahu? Il diritto non può essere ignorato

Finalmente, la Corte penale internazionale dell’Aia ha annunciato di aver emesso tre mandati internazionali d’arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra e contro l’umanità, perpetrati nella striscia di Gaza.

Il terzo mandato di arresto riguarda il leader di Hamas Mohammed Deif. La risposta di Netanyahu e degli altri leader israeliani non si è fatta attendere: hanno bollato il provvedimento, emesso dal procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan, come vergognosa e antisemita. Nulla di nuovo, quindi, sul fronte dei governanti israeliani; nessun ravvedimento, anzi, sotto il vessillo dell’antisemitismo continuano a nascondere il più grande, vile, vigliacco e abominevole massacro di donne e bambini che la storia di questo inizio secolo ricordi.

Fa specie constatare che neppure le opposizioni al governo di Netanyahu abbiano gradito la notizia: si sono premurate di far sapere che «questi mandati premiano il terrorismo». C’è qualcuno in quel Paese che abbia un minimo di umanità? È possibile che Israele, per vendicare i terribili fatti del 7 ottobre, possa sganciare bombe in Siria, in Iran, in Libano, radere al suolo Gaza e attaccare basi dell’Onu senza che la Comunità internazionale abbia nulla da ridire? È possibile che 55.000 morti e 105.000 feriti in un anno, dei quali la stragrande maggioranza sono donne e bambini, non scalfisca la sensibilità di nessuno? “But, what a shitty world we’ve built?” Questa domanda non fatela a Biden, perché la sua atroce risposta è già arrivata: «Gli Stati Uniti hanno chiarito che la Corte penale internazionale non ha giurisdizione su questa questione». E non è tutto. Peggiore è la risposta della neo-eletta amministrazione americana: secondo il leader dei Repubblicani al Senato, John Thune, bisogna varare una legge che sanzioni la Corte penale internazionale «in segno di ritorsione».

Leggendo queste dichiarazioni, espresse dai massimi livelli istituzionali, viene da chiedersi se siamo in presenza di folli o molto più terra-terra, se qualcuno ormai, non si ritenga al di sopra del diritto internazionale e, quindi, sopra le leggi. Ma non è che fra i Paesi che, invece, quel trattato hanno firmato vada molto meglio. Tutti i Paesi aderenti all’Unione europea lo hanno firmato, ma l’Ungheria, attraverso la voce del suo presidente Orban, fa già sapere che «è una vergogna» e che non applicherà il provvedimento; così pure Slovacchia, come Argentina e Paraguay. Ferma invece la posizione di Josep Borrell, capo della diplomazia europea, che afferma: «Tutte le nazioni dell’Unione europea sono obbligate a rispettare la decisione». Infatti, lo statuto che ha istituito la Corte penale internazionale è stato firmato a Roma nel 1998 e vi hanno aderito 123 Paesi. Né gli Stati Uniti né Israele hanno mai firmato quel trattato. Da ciò ne deriva che i provvedimenti emessi dalla Corte penale internazionale, non producono effetti sul loro territorio. E l’Italia? Nel silenzio irreale di quanti sarebbero potuti intervenire ma non l’hanno fatto, penso sopratutto a Meloni e Schlein, spiccano le dichiarazioni di Antonio Tajani, ministro degli Esteri («Sosteniamo la Corte, ricordando sempre che deve svolgere un ruolo giuridico e non politico») e quella di Guido Crosetto, ministro della Difesa («Sentenza sbagliata ma dovremo applicarla»). Leggendole mi è venuto in mente Dante e il girone degli ignavi, quelli che non hanno mai una idea loro, gli indifferenti, che non hanno mai il coraggio di schierarsi ma che alla fine si adeguano sempre alla scelta del più forte.

Per trovare il coraggio, invece, dovremmo leggere una nostra autorevole conterranea, Silvana Arbia, magistrato di Senise, che della Corte penale internazionale è stata cancelliera e che di crimini di guerra e contro l’umanità se ne già occupata, portando sul banco degli imputati il presidente del Sudan Al-Bashir. Alla stampa ha dichiarato: «Gli Stati che pensavano di poter agire impunemente, come Israele, ora sanno che c’è una giustizia che può intervenire. Un leader sotto mandato di arresto internazionale, perde credibilità e autorità: la sua reputazione è seriamente danneggiata e il suo sostegno politico potrebbe vacillare. Questo provvedimento cambia l’equilibrio politico internazionale». Speriamo sia vero. Intanto quel pazzo di Biden butta benzina sulla guerra in Ucraina e la saggia Merkel – meglio tardi che mai – ci ricorda che proporre all’Ucraina di entrare nella Nato è stato come dichiarare guerra alla Russia. Chissà se qualcuno avrà voglia di rinsavire prima che sia troppo tardi.

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