Signor presidente Trump,
Le scrivo come si scrive a un uomo che oggi si trova ad attraversare i vertici del potere, ma che, prima ancora di ogni carica, resta, come ognuno di noi, un essere umano, con dubbi, ombre, slanci e forse anche con una domanda silenziosa nel cuore: “Che segno lascerò?” Chi ha conosciuto la vetta porta sulle spalle responsabilità più grandi. Proprio per questo, ha anche una possibilità rara: quella di trasformare il proprio passaggio nella storia in qualcosa che superi la cronaca, la gloria effimera. Non sto parlando di potere o di grandezza, ma di significato e di eredità. Lei ha tra mani il timone di una delle nazioni più potenti della Terra. È un onore che pochi possono immaginare, ma anche un peso interiore che solo chi lo sta portando conosce davvero. Comandare l’America significa, da sempre, governare qualcosa che va oltre i confini geografici: significa rappresentare un’idea, un’immagine, un sogno.
Per molti, nel mondo, l’America non è mai stata soltanto un Paese: è stata una promessa; la promessa che la libertà fosse possibile, che la giustizia potesse prevalere, che i più deboli potessero trovare rifugio, che i sogni non fossero privilegio di pochi. Era la voce che si levava quando altri tacevano, era la mano tesa quando altre si chiudevano. In quel sogno, milioni di esseri umani si sono riconosciuti. Quel sogno, signor Presidente, oggi appare sbiadito, quasi irriconoscibile, come se qualcosa, nell’anima e nella coscienza del mondo, si fosse incrinato. Non è una semplice questione di colpe individuali: è una frattura più profonda, che si apre ogni volta che il potere si piega al servizio dell’ego invece che al servizio della giustizia. Quando il comando si trasforma in rivalsa e la leadership in spettacolo, ciò che si perde non è solo il rispetto degli altri, ma il senso stesso della missione. Il mondo porta sul volto ferite che non fanno più notizia: guerre dimenticate, popoli in fuga, fame silenziosa, laceranti pianti di bambini e mamme disperate le cui urla di dolore sono più forti delle bombe che ne spengono la voce. E ogni volta che chi poteva accendere una speranza ha preferito tacere, o dividere, o distrarre, una piccola occasione di riscatto per l’umanità è andata perduta. Eppure, signor Presidente, nonostante tutto, noi vogliamo ostinarci a credere che non sia troppo tardi. Il futuro non nasce dal cemento dei muri, né dal rumore delle armi o da strette di mano da esibire davanti a macchine fotografiche compiacenti. Il futuro non si costruisce solo con cifre o strategie, ma con visioni che sappiano guardare l’uomo, non solo il facile consenso subalterno e sottomesso. Ogni epoca ha bisogno di chi osa indicare una strada diversa, non più comoda, ma più vera. E anche il Suo futuro, signor Trump, non è scritto nei titoli dei giornali o nei risultati di una carriera: il Suo futuro vive in ciò che saprà ispirare nel cuore degli altri.
Lei oggi ha la possibilità di lasciare un’impronta. Non una traccia d’oro, fatta per brillare, ma una scia di luce, fatta per guidare. La storia non si inchina alla grandezza apparente, ma alla dignità di chi ha saputo servire. Non sono i vincitori ad affascinare il tempo, ma coloro che hanno sollevato gli altri mentre potevano pensare solo a sé. La storia ci insegna che l’umanità non cerca più dominatori, ma testimoni; l’umanità ha sete di guide che non desiderano primeggiare, ma ispirare. Il mondo ha bisogno di chi accende coscienze, non di chi alimenta divisioni, di chi tende mani, non di chi alza muri, di chi costruisce ponti anche quando è più facile scavare fossati. La vera grandezza non si misura in ricchezze, in voti, in palazzi, in foto e titoli roboanti; la vera grandezza è la forza silenziosa di chi sa sollevarsi al di sopra del rancore, dell’ego, del calcolo. E Lei, Presidente, almeno in alcuni momenti, ha lasciato intravedere il desiderio di essere qualcosa di più: non solo un uomo potente, ma un uomo capace di lasciare una visione.
Non esiste resort sulla Terra, per quanto lussuoso o isolato, capace di offrire pace a un’anima che dimentica la propria chiamata; nessuna torre, per quanto alta, può avvicinare l’uomo al cielo se le sue fondamenta non poggiano sulla verità. La storia, quella che sopravvive al rumore, non celebra chi ha accumulato potere o ricchezze, ma chi ha saputo difendere ciò che è giusto anche quando era scomodo o impopolare. Essere ricordati non significa essere ammirati per ciò che si è posseduto, ma per ciò che si è donato. E chi avrà avuto il coraggio di amare la giustizia, di sollevare chi era caduto, di parlare quando altri tacevano, sarà ricordato…non solo nei libri, ma nei cuori, oltre i confini del tempo e della Terra. Non Le chiedo di cambiare il mondo. Le chiedo, semplicemente, di non dimenticare l’Uomo. Perché è lì, nell’Uomo, che comincia ogni vero cambiamento. E da lì, forse, può cominciare anche il Suo nuovo cammino.
La saluto Signor Trump, La saluto con la speranza di chi ancora crede nella forza della coscienza, con la voce di chi non ha potere ma custodisce ancora un sogno, non come un potente della Terra, ma come un fratello, un cittadino del mondo, in cammino tra le ombre e le luci del nostro tempo.
Bentornato,
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