Le elezioni legislative francesi di domenica scorsa hanno registrato la sconfitta del Front national di Marine Le Pen. Più che le alleanze spurie tra sinistra e centro i motivi della débacle sono da ascrivere ai transalpini che non si sono fidati della proposta politica della destra e soprattutto del suo astro nascente Jordant Bardella.
Toni e temi classici della politica populistica, dall’immigrazione alle alleanze internazionali, del giovanissimo rampollo hanno irrigidito i moderati, i quali hanno preferito evitare avventure estreme.
Gli italiani, invece, hanno dato fiducia a Giorgia Meloni e dopo due anni continuano ad averne. Questo credito la premier lo deve per buona parte al lavoro tranquillizzante di Raffaele Fitto che da sette anni all’estero come in Italia “garantisce” il ceto medio e spiega che anche nel Bel Paese esiste il conservatorismo possibile e Meloni può rappresentarlo soprattutto se tiene fede alle sue parole di “incompatibilità” per quanti, allevati a croci celtiche e pittoresche nostalgie autoritarie, pensano che Fdi sia il Fp.
D’altronde, proprio il lavoro del ministro di Maglie consente al governo di risolvere le grane più ostiche come quelle legate ai fondi europei e al Pnrr, due assi che hanno bisogno di buoni uffici a Bruxelles e con gli altri partner europei. Un riconoscimento che già consente a Fitto di entrare nel ristretto club delle “riserve della Repubblica”, come Giuliano Amato e Paolo Gentiloni, utili alla Nazione quando essa chiama perché ha bisogno di una persona di fiducia. Per tutti.