Cancellare quei luoghi è impegno di tutti

Cinque anni fa, a Taranto, quattro operai agricoli rumeni bussarono alla sede della Flai Cgil. Volevano denunciare le condizioni disumane di accoglienza e lavoro cui erano costretti. Qualcosa di molto prossimo alla riduzione in schiavitù. A domanda su chi li aveva indirizzati al nostro sindacato, la risposta fu che avevano fatto una semplice ricerca in rete scrivendo alcune parole chiave come caporalato, sfruttamento, diritti, e i link che erano comparsi rimandavano tutti alla Cgil. Nessuna ottimizzazione dei siti sui motori di ricerca: è che la nostra azione sindacale nel contrastare questi fenomeni insieme arcaici e moderni di riduzione delle persone a merce, corpi da stressare e diritti da abbattere per spingere al massimo la valorizzazione del profitto, è così datata e incontrovertibile che l’idea che chiunque possa venire qui in Puglia o in altri territori a spiegarci come si conduce la battaglia al caporalato, denota già di per sé una presunzione e un’arroganza che va rigettata. Nel vortice mediatico in cui è finita la figura dell’onorevole Aboubakar Soumahoro, nessuno può e deve dimenticare in primis le condizioni di vita e di lavoro di migliaia di braccianti stranieri, costretti a vivere in ghetti malsani e alla mercé di caporali e imprenditori senza scrupoli.

La Cgil, la sua categoria del settore agroindustriale, nell’affrontare il tema del contrasto allo sfruttamento in agricoltura, non si è mai sottratta dal confronto con chiunque, sia rappresentanza istituzionale, sia sociale che economica.

Consapevoli come siamo e come da sempre denunciamo, che a fronte della complessità del fenomeno per estirparlo non servono azioni simboliche fini a se stesse, ma un approccio sistemico, che aggredisca quegli elementi che fin dai primi anni ’70, quando il caporalato fa la sua comparsa nelle campagne pugliesi, lo hanno reso funzionale al sistema primario in assenza di servizi garantiti dallo Stato. Oggi, se non si affronta il tema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che in periodi di grandi raccolte richiede un uso massiccio di forza lavoro in periodi concentrati, alla base della nascita degli insediamenti informali che chiamiamo ghetti; se il sistema pubblico assieme a quello privato non si fa carico di adeguati servizi di trasporto e accoglienza; se non si mette mano a una legge sullo status giuridico dei lavoratori stranieri, punitivo e restrittivo e che alimenta sacche di irregolarità, uomini e donne che non sono nelle condizioni di reclamare diritti. Se non facciamo tutto questo con un approccio sinergico e sistemico, continueremo a parlare di sfruttamento, violazioni di leggi, salario di piazza, incidenti stradali, diritti vilipesi.

Non mi attardo a ricordare le innumerevoli iniziative della Cgil e della Flai in Puglia per alzare il livello di attenzione e assieme conoscenza di queste dinamiche. Da questa regione arrivò una spinta importante alla riforma del collocamento pubblico in agricoltura, con la legge 83 del 1970, che visse momenti di lotta e scioperi che hanno segnato la storia del movimento del lavoro. Le battaglie contro il caporalato di Peppino Trulli, quello delle leghe bracciantili nel foggiano e brindisino. La manifestazione nazionale che con Cisl e Uil organizzammo a Foggia nell’ottobre 2006, a seguito delle denunce di morti sospette di braccianti polacchi. E poi le campagne Oro Rosso, Stop Caporalato, la legge regione contro il lavoro nero e per l’applicazione degli indici di congruità (mai entrati in vigore); le liste di prenotazione per valorizzare l’intermediazione pubblica del lavoro. Le vertenze per il riscatto di giornate non registrate, le segnalazioni alla magistratura di gravi violazioni che hanno portato ad arresti e indagini. Il sostegno dato alla famiglia di Paola Clemente affinché si affermasse la verità sulla sua morte. Il contributo ai tavoli istituzionali, per migliorare l’apparato legislativo: così abbiamo ottenuto nel 2016 la legge 199 di contrasto al caporalato, simbolicamente dedicata a Paola Clemente. Una legge che funziona sul lato repressivo e sanzionatorio, e sempre più le imprese hanno capito che il prezzo per il lavoro nero è altissimo. Legge che va applicata anche nella promozione di politiche attive di contrasto al lavoro irregolare, per l’accoglienza, per i trasporti. Si torna ai tre temi, fondamentali se si intende davvero fare i conti con questa piaga sociale. Ora ci sono le risorse per superare gli insediamenti informali, e siamo impegnati nel dialogo con Regione, Comuni, coinvolgendo le università di Foggia e Bari e il Politecnico del capoluogo regionale, affinché le risorse assegnate siano usate e spese nel migliore dei modi. Cancellare per sempre quei luoghi dalle nostre mappe deve essere un impegno di tutti. Prima e dopo c’era e ci sarà la Cgil, con il contributo di quella politica che intende realmente dare il suo alla risoluzione dei problemi, con le altre forze sociali, con le istituzioni, lo straordinario mondo del volontariato che opera attivamente in quei luoghi, e il focus sarà sempre indirizzato al miglioramento della vita e del lavoro di uomini e donne che contribuiscono a fare dell’agricoltura pugliese uno degli asset più importanti dell’economia regionale e nazionale, tenendo al centro la dignità delle persone e del lavoro.

Pino Gesmundo è segretario generale Cgil Puglia

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