In una delle sue ultime dichiarazioni pubbliche, il Presidente americano Donald Trump, parlando della guerra tra Israele e Iran, ha dichiarato che in alcuni momenti si deve intervenire così come interverrebbe un padre con i suoi due figli durante un litigio. L’America, infatti, si è resa responsabile di un intervento lampo che aveva come obiettivo principale la demolizione di quei siti nucleari che avrebbero potuto garantire il raggiungimento di una bomba ad alto potenziale distruttivo anche per uno stato come quello dell’Iran.
Detto ciò, la deduzione dovrebbe essere semplice: l’America ha attaccato con successo l’Iran, distruggendo i siti nucleari, per dirimere una semplice controversia tra Israele e l’Iran. La questione, però, appare ragionevolmente più complessa. Da un lato abbiamo un padre, in questo caso l’America, che ha abbandonato i suoi buoni propositi di uno stato garante ed esportatore di valori liberal-democratici per vestire i panni di uno stato autoritario, antidemocratico, isolazionista in grado di contrapporre la forza ad ogni possibile contaminazione.
Dall’altro due stati, emblemi di due religioni monoteiste che sono espressione della contrapposizione di due blocchi ben definiti, di cui il primo, Israele, legato all’America da un vincolo fraterno. A questo proposito, se l’America ha rappresentato per lungo tempo l’alter ego del blocco socialista, oggi possiamo dire che si sia palesata nella sua autenticità, che ha presentato un volto fino ad ora sottaciuto. Trump ha saputo, in poco tempo, sconvolgere l’opinione pubblica americana come quella straniera, inimicandosi gran parte dei rappresentanti politici democratici.
Sono ormai lontani i tempi dell’accordo di Pratica di Mare del 28 maggio 2002 in cui apparve in modo plastico la scena di Busch e Putin vicini con la mediazione di Silvio Berlusconi. Accordi che sembravano porre fine alla contrapposizione tra le due potenze mondiali e tra i due blocchi contrapposti garantendo una distensione nei rapporti internazionali. Da allora molto o troppo è cambiato e il mondo, improvvisamente, si è ritrovato a rivedere film già visti: la guerra coreana (1950-1953), la crisi cubana del 1962, la guerra in Vietnam (1955-1975), la guerra balcanica (1991-2001), fino alla guerra in Afganistan (2001-2021). Tutte queste guerre, sintomo di tensione tra due blocchi che per cultura, vocazione e credo religioso hanno sempre fatto fatica a parlarsi. Lungimirante fu la visione berlusconiana che provò a integrare la Russia in un tavolo di dialogo con l’America e, soprattutto l’Europa, in quanto la cultura cattolica ortodossa russa è molto più prossima a quella europea di quanto non lo sia quella islamica. Oggi. si avverte un cambiamento epocale. Sono cadute giù le maschere dell’ipocrisia che celavano sorrisi stentati tra i leader mondiali per cercare un dialogo impossibile.
Nuovi volti sono apparsi sulla scena e molti di questi con l’intento di asserire e affermare nuovamente la supremazia sull’altro. L’America di Trump è fortemente spinta verso quel recupero di centralità mondiale perso negli anni. Il padre ha deciso di abbandonare la via del dialogo con i propri figli, non avendo ottenuto che una grande crisi, per riprendersi la scena con un atteggiamento autoritario. La via più semplice, quando non si hanno altre argomentazioni valide, sembra essere solo quella di riaccendere la miccia del conflitto.