Entrare oggi in una tabaccheria è come varcare la soglia di un piccolo “museo delle stranezze”. Sugli scaffali, pacchetti allineati come soldatini, sopra le immagini mostrano messaggi molto visibili, scritte ammonitrici aventi una funzione dissuasiva: aumentare la consapevolezza dei rischi, spingendo il fumatore a smettere o almeno a pensarci, e scoraggiare l’iniziazione nei giovani. Un tempo i pacchetti di sigarette avevano un proprio design: loghi, colori, stemmi, grafiche accattivanti: il tutto studiato per creare identità di marca e attrattiva.
Oggi, dopo che l’Oms, attraverso la Convenzione Quadro per il Controllo del Tabacco (2003), ha spinto i governi aderenti a impegnarsi a ridurre l’appeal del fumo, una strategia è stata proprio togliere spazio al marchio e darlo ai messaggi: Il fumo danneggia i tuoi polmoni; Il fumo causa attacchi cardiaci; Il fumo ostruisce le arterie; Il fumo causa il 90% dei casi di cancro ai polmoni; Il fumo uccide – Smetti subito. E ancora: Il fumo causa il cancro alla bocca e alla gola; Il fumo causa ictus e disabilità; Il fumo aumenta il rischio di cecità; Il fumo riduce la fertilità; Il fumo aumenta il rischio di impotenza; Il fumo danneggia chi ti sta vicino. Un bombardamento visivo che dovrebbe far riflettere e scoraggiare.
Eppure, nonostante tutto, i pacchetti continuano a vendersi e milioni di persone, ogni giorno, aprono quella scatola e accendono una sigaretta. Una domanda sorge spontanea, allora: quale la molla psicologica che spinge il fumatore a rispettare un divieto di sosta o a non immettersi in un senso vietato per paura di una multa, e ad ignorare, invece, avvertimenti decisamente più gravi e a rischiare consapevolmente la propria salute, fino alla vita stessa?
La spiegazione non è mancanza d’intelligenza, ma di prospettiva. Il cervello umano dà più peso a ciò che è certo e vicino che non a ciò che è incerto e lontano. La multa è tangibile e rapida. Il tumore, invece, è un’ombra futura. E così scatta la miopia cognitiva: meglio non pensarci e godere del piacere immediato. Gli psicologi parlano di “sconto iperbolico”: meccanismo in base al quale si preferisce un beneficio piccolo e immediato rispetto a un vantaggio maggiore ma posticipato. La sigaretta diventa così una gratificazione istantanea, che per un attimo placa l’ansia e riduce lo stress. Per resistere a quella galleria del terrore, il fumatore si costruisce un proprio “arsenale psicologico”, basato sulla minimizzazione, su un ottimismo irrealistico: “posso smettere quando voglio”; “mio nonno fumava come un turco ed è morto a 94 anni”.
Sono forme di piccole bugie che consentono di continuare un gesto altrimenti insostenibile.
Capita persino di assistere anche a scene “estrose”: un cliente, ricevuto un pacchetto con la scritta “Il fumo aumenta il rischio di impotenza”, storce la bocca e chiede di cambiarlo con quello che “Il fumo uccide”; oppure, con un sorrisino ironico, opta per “Il fumo danneggia chi ti sta vicino”. Una battuta, e il rischio si ridimensiona: ridere esorcizza la paura. Seguire il codice della strada significa obbedire a una norma esterna, mentre il fumare è percepito come un atto personale, libero; uno spazio in cui l’individuo rivendica la propria scelta, anche se autolesionista. E così il fumatore convive con il suo paradosso: teme la sanzione immediata, ma sfida la condanna futura. Non perché sia cieco o sprovveduto, ma perché è umano, vulnerabile, intrappolato nei giochi della mente.
I pacchetti continuano a urlare dalle vetrine dei tabaccai, ma la voce che risuona più forte resta sempre quella della sigaretta accesa. In fondo il fumatore non è un criminale della propria salute, né un incosciente totale: è semplicemente umano. Oscilla tra la paura del presente e la seduzione del piacere immediato, tra la realtà della multa e l’ombra lontana del tumore. Dietro ogni sigaretta accesa si cela un piccolo atto di sfida: contro sé stessi, contro il futuro, contro l’angoscia che si tenta di allontanare con autoinganni, ironia e razionalizzazioni. Non è follia, non è incoscienza totale: è semplicemente la condizione umana, sospesa tra il bisogno di gratificazione e il timore dell’ignoto.
La prossima volta che vediamo quei pacchetti allineati come soldatini dietro il banco di una tabaccheria, proviamo a ricordarci che dietro ognuno di essi non c’è soltanto una sostanza che crea dipendenza, ma una mente che, pur sapendo, sceglie ancora il qui e ora. E per comprenderla, forse, basta guardare dentro noi stessi.