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Aree interne? Rianimatele e risparmiateci i soliti slogan

Questo contributo è stato scritto con la collaborazione di Roberto Tuccillo

Hanno ragione a dire che lo spopolamento è un dramma. Ma il vero scandalo è che la politica lo sa e lo accantona. Lo ha detto persino Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia: «Quando restano solo gli anziani, le comunità sono destinate a morire». Parole forti. Parole vere. Ma non bastano le parole.

Lo sappiamo da tempo: c’è un’Italia che si svuota. I piccoli borghi, le aree interne, i paesi di collina e di montagna. Se ne vanno i giovani, se ne vanno le famiglie, se ne vanno le speranze. Restano le finestre chiuse, i silenzi dei vicoli, le scuole che chiudono, le ambulanze che non arrivano più. E quando un luogo perde la sua gente, perde la sua anima.

Eppure, proprio in mezzo a questo deserto che avanza, può nascere qualcosa di nuovo. Basta capovolgere lo sguardo. Basta vedere, dentro il bisogno, l’opportunità. Lo stiamo facendo con coraggio insieme con l’avvocato Giuseppe Lanocita e altri professionisti del territorio. L’abbiamo chiamato “modello di riabitazione delle aree interne”. Perché ogni emergenza, se trattata con intelligenza e visione, può diventare il seme di una nuova politica.

Tutto nasce dai Campi Flegrei. Un’emergenza vera, dove la terra trema e la gente ha paura. Ma che senso ha spostare famiglie da Pozzuoli in Lombardia? Che senso ha togliere i figli dai nonni, dai compagni di scuola, da tutto ciò che chiamano casa? L’evacuazione non può essere solo logistica. Deve essere umana.

E allora proponiamo un’altra strada: creare accoglienza dentro la stessa regione, nella nostra Campania. Nelle aree interne abbandonate. Lì dove le case sono vuote, dove i borghi resistono, lì possiamo immaginare una nuova comunità.

Questo è un progetto che unisce dignità, giustizia, visione e buon senso. Non si tratta solo di “dare una casa”. Si tratta di restituire un senso. Di costruire reti, infrastrutture, servizi, scuola, sanità, trasporti. Ma anche occasioni di lavoro, opportunità di crescita, un’identità condivisa.

Sappiamo bene, come ha detto anche Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei e le Politiche di coesione e con delega al Pnrr, che non tutte le aree interne possono essere recuperate. Lì va accompagnato lo spopolamento. Ma dove ci sono 30, 40, 100 persone che hanno scelto di restare, lo Stato deve esserci. Non per carità. Ma per giustizia. Per dignità. Perché essere cittadini italiani vale anche se vivi a 900 metri di altezza, anche se la tua piazza non è su Instagram.

Il nostro è un Paese fatto di paesi. E se li perdiamo, perdiamo l’Italia. Serve un’operazione culturale e politica. Serve una legge quadro. Serve che i fondi europei, il Pnrr, gli incentivi fiscali, vengano usati non per costruire rotonde, ma per far rinascere le comunità. Chi resta va premiato. Chi torna, va sostenuto. Chi sogna, va ascoltato. Siamo stanchi di slogan vuoti. Noi vogliamo portare proposte. Vogliamo fare squadra. Perché il futuro del Sud – e dell’Italia tutta – non passa dalle metropoli. Passa dal coraggio di scommettere su chi non si è arreso. E allora diciamolo chiaramente: il vero atto rivoluzionario, oggi, è tornare ad abitare l’Italia vera. Quella che non fa notizia, ma che ha creato questo Paese.

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