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Amori violenti, vite frustrate e la perdita di ogni umanità

Un appuntamento settimanale quello con la cronaca che vede ogni volta, in prima pagina, la notizia di un femminicidio, agito per mano di un uomo incapace di sopportare la sua ferita narcisistica.

Un amore che il killer fa fatica a comprendere che è destinato a finire o che non può iniziare. L’amore invece, come ogni altro sentimento, ha un suo inizio e una sua fine e non può essere caricato di quel senso di eternità che non ha. Un sentimento a tempo determinato che l’uomo non riesce a comprendere come tale.

Questa volta è toccato ad Ilaria, come in una roulette russa dove capita sempre chi debba pagare le spese. Una ragazza di origini albanesi di 22 anni, uccisa a Roma la stessa sera in cui è scomparsa per mano del suo ex fidanzato di 23 anni Mark Samson di origini filippine. L’ha colpita, in presenza dei suoi genitori, l’ha rinchiusa in una valigia pronta per affrontare il suo viaggio, come un indumento, come un pacco, come un qualcosa di inumano, un oggetto.

Stessa sorte è capitata a Sara, coetanea di Ilaria ma siciliana, sgozzata per strada da Stefano Argentino, un suo collega universitario. La donna considerata come un oggetto da possedere e l’ossessione disperata di un uomo infantile che farebbe di tutto per non perdere l’oggetto del suo desiderio. Un bisogno di possedere l’oggetto del proprio desiderio più di qualunque cosa e la frustrazione derivante dalla consapevolezza che tale possesso non si potrà concretizzare. Ilaria era una studentessa brillante di Statistica all’Università come Sara Campanella che nel corso della sua carriera universitaria ha conosciuto il suo aguzzino. Quest’ultimo studente, coetaneo della vittima, più volte ha cercato di approcciarsi a Sara senza successo e, dopo l’ultimo messaggio che lei gli ha inviato, l’ha seguita, pedinata fino a finirla in strada, in pieno giorno.

Delitti che accadono in ogni luogo con un unico movente la non corrispondenza ad un sentimento presunto o reale del carnefice e accompagnato dall’insistenza compulsiva nei confronti della vittima, testimonianza di un tratto di personalità turbata; l’incapacità del killer di accettare la libertà della donna che lo rifiuta come se la visione distorta della realtà che lui ha proiettato verso la donna fosse l’unica possibile, l’unica concretizzabile.

Due delitti, quelli di Ilaria e Sara, premeditati. Il primo finito durante una serata, consumato in un luogo domestico, senza alcuna inibizione per la presenza dei genitori del killer, poi la valigia chiusa come la propria storia e poi via, il più lontano possibile, quasi a voler allontanare da sé non il corpo della donna, ma l’atto compiuto, quel mostro inconscio serrato nei meandri di una vita frustrata. Uno sdoppiamento di personalità dei due artefici, ragazzi universitari da un lato e uomini ossessionati e compulsivi dall’altro. Due ragazze che lasciano il vuoto in chi resta che, nel caso di Sara non sapeva neanche dell’esistenza di uno suo spasimante, quindi un fulmine a ciel sereno.

Dall’inizio dell’anno sono 16 le vittime riconosciute e ascrivibili ad un femminicidio. Non si tratta solo di numeri ma di vite umane e l’appello è sempre più chiaro e urgente, prevenire i femminicidi è possibile, attraverso il dialogo non solo con le potenziali vittime, ma anche con i killer che spesso nascondono le proprie frustrazioni nel piatto divenire del quotidiano.

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