Con l’arrivo della bella stagione, in Italia e nelle regioni del Sud in particolare, riemerge la questione del turismo. Che vede su fronti spesso in conflitto tra loro operatori, turisti, residenti e policy maker. Da Venezia a Roma, dagli Uffizi di Firenze agli scavi di Pompei, dal mare della Sardegna a quello del Salento sembra non esserci più capacità ricettiva. Manca lo spazio: è difficoltoso perfino muoversi agevolmente tra la folla; non c’è silenzio: una delle “condizioni culturali” più rare e costose al mondo; manca il tempo: i turisti appaiono sempre più frettolosi, spinti dalla frenesia di consumare, più che di godere, paesaggi, arte, tradizioni.
Per provare a dipanare gli intricati nodi legati alla numerosa presenza turistica, alla vivibilità dei residenti e alla sostenibilità ambientale occorre partire in primo luogo da alcuni dati, per poi verificare il tipo di pianificazione turistica realizzata dalle amministrazioni pubbliche e dagli operati di settore.
Il boom del turismo – attualmente si sposta circa un miliardo e mezzo di persone nel mondo (nel 2000 erano ottocento milioni) – è dovuto principalmente all’aumento di tempo libero e a una maggiore facilità di spostamento. Nelle società contemporanee, soprattutto in quelle occidentali, nell’arco di una vita media, è diminuito notevolmente il tempo di lavoro (poco più di un decimo del complessivo tempo di vita) a favore di una crescita significativa di tempo libero.
Nel 1970 l’Italia era al primo posto, tra i 196 Paesi del mondo, per arrivi di turisti: 50 milioni di persone pernottavano almeno una notte nel nostro Paese. Oggi siamo al quinto posto con 65 milioni di arrivi ma, quel che dovrebbe impensierire maggiormente, è che l’Italia incassa, da flussi tanto rilevanti, mediamente, meno dei paesi come Francia e Spagna. Una delle ragioni è il turismo religioso, notoriamente poco spendereccio, diretto soprattutto nella Città del Vaticano. L’Italia vanta comunque il maggior numero di siti d’arte: l’Unesco ne riconosce 58 al nostro Paese, 51 alla Germania, 49 alla Spagna e 46 alla Francia. I turisti che arrivano in Italia provengono in maggioranza dalla Germania con 13 milioni, seguita dagli Stati Uniti con 6 milioni e dal Regno Unito con 5 milioni. L’incidenza del settore turistico sul Pil (prodotto interno lordo) è in crescita esponenziale in quasi tutti i Paesi del mondo, superando perfino settori di punta come l’informatica e l’intelligenza artificiale. Per restare ai soli Paesi europei, in Spagna la crescita è del 16 per cento, nel Regno Unito dell’11 e in Italia del 10. Percentuali così rilevanti, sul totale della ricchezza nazionale, stanno inducendo molti Paesi a realizzare pianificazioni turistiche particolarmente attrattive. E poi non va trascurato il turismo interno: spostamenti tra regioni, in particolare nella stagione estiva.
Un’efficace politica del turismo dovrebbe allora prendere le mosse da tre fattori necessari ma, come vedremo, non sufficienti: il numero di persone che arrivano in quel luogo, il loro tempo di permanenza e quanto spendono. Fare turismo non è un’apertura indiscriminata di bed & breakfast nei centri cittadini sostituendo così le residenze più o meno storiche e interrompendo quella rete relazionale tanto tipica delle città italiane. La discriminante per un turismo di qualità è la bellezza: una singola brutta costruzione è sufficiente per rovinare un intero paesaggio. Esempi negativi che riguardano la Puglia sono le numerose abitazioni, costruite lungo la costa anche abusivamente, che degradano inesorabilmente paesaggi marini altrimenti meravigliosi.
Una pianificazione turistica ben fatta deve, prima di tutto, innestarsi nella cultura locale. Com’è noto ci sono differenti tipi di turismo, da quello balneare a quello culturale, da quello montano a quello religioso e così via. I pianificatori dovrebbero poter scegliere, per quel luogo, la tipologia più congruente con le sue caratteristiche distintive: che siano il mare, i siti culturali, i sentieri per passeggiare e altro ancora. È necessario che i policy maker sappiano che solitamente è preferibile mostrare attenzione verso un solo tipo di turismo, evitando il conflitto tra segmenti turistici in netto contrasto tra loro. Pianificare e realizzare attività turistiche è complesso poiché richiede, per una buona riuscita, il coinvolgimento dell’intera comunità, non solo degli operatori direttamente interessati. Dunque, le precondizioni dono la cooperazione e la formazione al turismo.
Occorre infine scegliere tra due modelli: il primo è il turismo di massa, il secondo il turismo di qualità. Il primo è frenetico e frettoloso, in genere dura pochi giorni. Ha bisogno di attrattive molto vistose: luci, colori, suoni, folla. Questi turisti preferiscono essere spettatori (loro si definirebbero fan) di eventi con il cantante o l’influencer del momento. Spendono poco, spesso inquinano i luoghi di permanenza e tengono lontano il turismo di qualità. Ciononostante, per il turismo di massa in Italia abbiamo delle eccellenze: si pensi alla riviera romagnola, in particolare alle città di Rimini e Riccione. Il secondo modello è il turismo di qualità. È opportuno precisare che il reddito non è la discriminante primaria di questa fascia che non è costituita da ricchi e privilegiati. Il turista di qualità richiede serenità e silenzio. Desidera, da un luogo turistico, un’offerta di possibilità da integrare nel corso della sua permanenza. Ad esempio, un mare in condizioni decenti (oppure sentieri per passeggiare), qualche concerto pomeridiano, paesaggi urbani curati e la possibilità di assaggiare cibi del posto. Se si creano le condizioni, questi turisti sono ben disposti a scambi culturali con i residenti, anche se detestano l’invadenza e ricercano atmosfere gradevoli. Questo turismo non solo porta flussi di denaro ma fa crescere le comunità, contagiando positivamente i luoghi turistici.
Ecco la scelta a cui sono chiamati i nostri amministratori pubblici e i loro consulenti, ma anche gli operatori del settore. Tentare di intrecciare, le due tipologie, tenendo in piedi esigenze così diverse, crea solo reciproca ostilità, degrado dei luoghi, insofferenza dei residenti. Occorre scegliere tra l’uno o l’altro modello: tertium non datur.