Su quali professioni l’intelligenza artificiale avrà l’impatto più forte? Molti esperti si sono posti questo interrogativo, visto che le nuove tecnologie renderanno obsoleti alcuni lavori, aumenteranno la domanda per altri e incideranno sulla produttività di altri ancora. E tutte le indagini sul tema hanno condotto allo stesso risultato: più a rischio sono le professioni in cui maggiore è l’utilizzo di abilità cognitive, con un grado di esposizione particolarmente elevato per le donne e per chi opera nel Centro-Nord.
Secondo numerosi analisti, una professione che potrebbe subire le pesanti conseguenze dell’uso massivo dell’intelligenza artificiale è quella dell’avvocato. Quest’ultimo, infatti, ha tra i suoi compiti quello di ordinare le informazioni e, in tal senso, rischia di vedersi sostituito dalle nuove tecnologie. I legali, però, potrebbero essere in buona compagnia. Se si analizza la rilevazione della forza lavoro dell’Istat per il 2022, si nota come sette lavoratori italiani su dieci ricoprano ruoli potenzialmente esposti all’intelligenza artificiale: parliamo di 15 milioni di persone su un totale di oltre 21, con 7 milioni per i quali il rischio sarebbe particolarmente elevato. E i pericoli maggiori si riscontrano per i lavoratori con titoli di studio più elevati, cioè per chi opera nel settore dei servizi, nei vari comparti della pubblica amministrazione, nell’informazione e nella comunicazione, nelle attività finanziarie e assicurative, nell’istruzione e persino nella sanità e nei servizi sociali. E qui suona l’ulteriore campanello d’allarme: il rischio di essere travolti dall’intelligenza artificiale è ancora più alto per le donne che costituiscono il 37% della forza lavoro impiegata nei settori appena citati.
Se si analizzano le regioni italiane, invece, emerge come il Centro e il Nord siano generalmente più esposti alla diffusione delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro. È il caso soprattutto di Lazio e Lombardia, territori in cui è particolarmente consistente il peso di settori come assicurazioni e finanza, pubblica amministrazione, informazione e comunicazione. Senza dimenticare il comparto industriale dove la presenza di professioni legate a management, comunicazione, ricerca e sviluppo accresce i pericoli legati all’intelligenza artificiale. Per Lazio e Lombardia, dunque, l’esposizione è media rispettivamente nel 78,3 e nel 73,1% dei casi, mentre è alta nel 36,5 e nel 39,2; quanto a Puglia e Basilicata, i rischi sono medi rispettivamente nel 66,4 e nel 65,9% delle ipotesi, ma diventano alti nel 25 e nel 24.
Che cosa vogliono dire questi dati, messi insieme in una interessante analisi condotta da Guido Baronio, Antonio Dalla Zuanna, Davide Dottori, Elena Gentil, Giovanni Linfante e Luca Mattei? Che l’intelligenza artificiale richiede la definizione e l’adozione di una strategia fin da subito. Magari i tempi saranno più lenti in Italia, che ha un tessuto economico caratterizzato da piccole e medie imprese e tanti lavoratori autonomi e da una bassa propensione all’innovazione, ma non c’è dubbio sul fatto che gli scenari descritti siano destinati a realizzarsi. Con una serie di conseguenze non solo in termini di diminuzione delle assunzioni per le figure professionali più esposte all’intelligenza artificiale, ma anche di andamento del reddito soprattutto nel settore dei servizi: alcuni lavoratori potrebbero risentire della diffusione delle nuove tecnologie attraverso una riduzione del salario, mentre altri potrebbero sfruttarle per incrementare la propria produttività e quindi la retribuzione. Ecco perché su questo tema è il caso di avviare una discussione seria e propositiva immediatamente. A meno che l’Italia, in particolare il Sud, non vogliano farsi cogliere impreparati da questa ennesima rivoluzione.
Raffaele Tovino è dg di Anap
Bentornato,
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