Con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea si apre un’altra pagina della lunga e tormentata vicenda delle acciaierie ex Ilva di Taranto.
La sentenza del tribunale di Lussemburgo stabilisce che “in caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso”. Una vittoria per chi ha sempre sostenuto che il bubbone ex Ilva andava estirpato, una ulteriore sconfitta per chi invece ha difeso l’occupazione e il futuro industriale del nostro Paese.
L’unica certezza è che la sentenza aggiunge un ulteriore elemento di confusione ad una situazione già molto ingarbugliata. A febbraio scorso, il ministro Adolfo Urso aveva ammesso con decreto Acciaierie d’Italia alla procedura di amministrazione straordinaria nominando un commissario per il rilancio dello stabilimento, restituendo al Paese “quello che è il frutto del lavoro, del sacrificio di intere generazioni”.
La difesa dell’impianto industriale è senz’altro una scelta condivisibile. La sua chiusura produrrebbe una drastica deindustrializzazione dell’area, senza alternative.
La vicenda di Bagnoli deve pur insegnare qualcosa. Anime belle ambientaliste, più interessate alla integrità dei panorami che alla dignità umana del lavoro, divennero complici inconsapevoli di gelosie di concorrenti entro la Comunità Europea e di avidi speculatori.
Il più operaista dei comunisti, Antonio Bassolino, fu convertito come San Paolo sulla via di Damasco e cominciò a sognare il grande sviluppo che Bagnoli, liberata dal mostro, avrebbe apportato alla città di Napoli. Ebbene, sono passati più di trenta anni dallo smantellamento di quella che era la più grande e più moderna acciaieria d’Europa, e lo scenario è un deserto. Dove sono i grandi alberghi promessi, le folle di turisti, dov’è la spiaggia? Non c’è nulla. Certo si è risolto a Napoli il problema della fuliggine rossa che infastidiva la sensibile borghesia del Vomero, ma giù a valle, a Bagnoli deindustrializzata, vi è stata solo speculazione, corruzione e la vergogna di una classe politica incapace.
Bagnoli insegna molto e Taranto non deve subire la stessa sorte. Esiste una possibilità di conciliare la produzione, l’occupazione e la sacrosanta salute dei cittadini: riconvertire gli impianti e produrre acciaio di qualità. L’esperienza svedese può essere imitata. Certo la Svezia non produce le nostre quantità (4,3 milioni di tonnellate nel 2023 contro la produzione italiana di 21 milioni di tonnellate), ma ha impianti H2 Green Steel, alimentati a idrogeno e non con combustibili fossili (coke). Tale tecnologia può essere applicata, come dimostrano i risultati sperimentali, ad impianti su larga scala, con volumi di produzione significativi. Non c’è altra soluzione che ristrutturare in senso ecologico (con tecnologia H2 Green Steel o altro) il grande impianto di Taranto, senza perdere i volumi di produzione e di occupazione. L’alternativa è il nulla che oggi si vede a Bagnoli.