Per anni ci hanno raccontato la solita storia: il Sud è in ritardo, è una zavorra, è il problema dell’Italia. Lo hanno detto in tutte le salse, nei talk show, nei documenti economici, nelle dichiarazioni politiche. Ma qualcosa è cambiato. E chi fa finta di non vederlo, oggi, è in malafede.
Al Forum “Verso Sud” organizzato da Ambrosetti a Sorrento è arrivata la conferma che molti di noi aspettavano: il Mezzogiorno è la terza regione più attrattiva dell’intero Mediterraneo, dopo Andalusia e Attica. Tradotto: il Sud Italia è oggi una terra su cui vale la pena investire, vivere, produrre. Altro che zavorra. Il Sud è già locomotiva. Solo che chi tiene in mano la mappa dei binari si ostina a far finta che la stazione non esista.
Non è una questione di campanilismo. È una questione di verità. Numeri alla mano, il Sud si avvia a intercettare oltre 320 miliardi di euro di investimenti da qui al 2030, e può generare più di un milione di nuovi posti di lavoro. Settori come la logistica, l’agroindustria, le energie rinnovabili, l’innovazione tecnologica e la portualità sono già al centro di una trasformazione che non si può più ignorare. In alcuni territori, la crescita industriale del Sud ha già maggiori margini di produttività rispetto al Nord. Sì, avete letto bene: il Sud, se messo nelle condizioni di funzionare, rende più del Nord.
Allora la domanda è: perché continuare a raccontare un’altra storia? La verità è che chi ha sempre tratto beneficio da un Sud marginalizzato oggi ha paura. Ha paura di un Sud che si emancipa, che attrae capitali, che crea lavoro vero e non clientelismo. Ha paura di un Sud che diventa polo energetico nazionale, snodo logistico del Mediterraneo, terra di giovani imprenditori e di industrie 4.0. Ha paura perché sa che quando il Sud cammina da solo, il ricatto si spezza. Il ricatto di chi, per decenni, ha fatto il pieno di fondi pubblici per “recuperare il gap”, senza mai volerlo davvero recuperare.
E allora serve un cambio di paradigma. Serve il coraggio di dire le cose come stanno. Di raccontare un’Italia che può ripartire davvero solo se riparte il Sud. Non per pietà, ma per convenienza nazionale. Non per fare contenti i meridionali, ma per salvare l’Italia intera da un modello di sviluppo che ha esaurito le sue energie. Un Nord saturo, congestionato, invecchiato, dove la produttività rallenta e la qualità della vita arretra. Un Sud giovane, aperto, ricco di risorse, con ancora spazio per crescere.
Il punto non è contrapporre Nord e Sud. Il punto è costruire un equilibrio nuovo, in cui non ci siano territori di serie A e territori di serie B, ma una sola Italia che cammina con due gambe. Oggi, quella che zoppica non è il Sud, ma chi non ha ancora capito che il mondo è cambiato.
Abbiamo bisogno di una nuova grammatica della verità. Di smettere di chiedere permesso per dire che il Sud funziona. Di smettere di giustificare ogni successo con il solito “sì, però…”. Il tempo dei complessi è finito. Il futuro si scrive nel Mezzogiorno. E non aspetta più nessuno.