Sembra che il governo Meloni ci abbia dato ascolto. A maggio 2023 su queste stesse pagine auspicavamo scelte chiare sull’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro istituita dal governo Renzi e poi fortemente ridimensionata dal governo Draghi con l’istituzione di una Direzione generale ad hoc presso il Ministero del Lavoro.
Dal primo marzo scorso, l’Anpal ha cessato di esistere e le sue competenze sono state attribuite proprio a quella Direzione generale. Un carrozzone in meno, insomma: senz’altro una buona notizia. Resta da vedere, adesso, se e come il governo Meloni cambierà le politiche attive del lavoro per garantire un impiego a quell’esercito di disoccupati, inattivi e sottosalariati che ancora resiste soprattutto al Sud.
Andiamo con ordine. L’addio all’Anpal mette fine a una vicenda che si trascinava dal 2015. Da quando, cioè, il governo Renzi istituì l’Agenzia nazionale per accentrare le politiche attive del lavoro e superare i venti sistemi regionali. Il progetto naufragò un anno più tardi, col referendum che bocciò la riforma costituzionale confermando la competenza concorrente tra Stato e Regioni in materia di politiche attive del lavoro.
Col governo Conte I, l’Anpal curò l’accompagnamento al lavoro dei percettori di Reddito di cittadinanza con l’ausilio dei navigator, cioè i circa 3mila giovani assunti nel 2019 da Anpal Servizi e poi non confermati dall’attuale esecutivo. Il governo Draghi assestò poi un duro colpo all’Agenzia nazionale riportando in vita la Direzione generale delle politiche attive del lavoro presso il Ministero. La scelta del governo Meloni, dunque, è apprezzabile perché elimina quello che era ormai diventato un contenitore vuoto, utile soltanto a saziare la fame di poltrone delle forze politiche.
I risultati ottenuti dall’Anpal, d’altro canto, non possono essere ritenuti soddisfacenti. Basta analizzare gli ultimi dati Istat che, per quanto confortanti rispetto al recente passato, ci ricordano come il tasso di disoccupazione si attesti pur sempre al 7,2%, con quella giovanile addirittura al 20,1, per non parlare del numero degli inattivi che aumenta di 19mila unità soprattutto tra donne e under 35 e al Sud. Vuol dire che, vicenda Anpal a parte, le politiche attive del lavoro vanno riviste. In che modo? Evitando di considerarle come una funzione esclusivamente pubblica o come un semplice insieme di misure per soggetti ai margini del mercato del lavoro. E, ovviamente, semplificando una materia che si articola in troppi livelli e nella quale si intrecciano normative contraddittorie. Una proposta concreta è il rafforzamento degli enti bilaterali, in modo da superare la logica novecentesca del conflitto tra sigle sindacali e associazioni datoriali.
Gli enti bilaterali possono essere preziosi per comprendere i cambiamenti del mercato del lavoro, rilevare i fabbisogni, individuare i mestieri, costruire percorsi di apprendistato e interpretare una complessità che spesso sfugge alle norme nazionali. Da valorizzare è anche il ruolo di scuola, università e operatori privati autorizzati e accreditati, determinanti ai fini dell’incontro dinamico tra domanda e offerta di lavoro.
Altrettanto indispensabile è la semplificazione della materia. L’Anpal, per esempio, rispondeva a una finalità pienamente condivisibile, cioè quella di superare la frammentazione delle politiche attive del lavoro in cui Regioni e Province autonome giocano un ruolo centrale, ma pur sempre con la possibilità di intervento da parte dello Stato e sulla base delle indicazioni (e dei finanziamenti) dell’Unione europea. Adesso questo obiettivo di semplificazione va confermato, ma occorre aggiungervi la razionalizzazione delle norme regionali e nazionali che da anni si “rincorrono” assecondando le impellenze del momento e non una linea organica. Quindi, bene il superamento dell’Anpal, ma ora tocca fare il passo successivo.
Raffaele Tovino è dg di Anap