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Abiurare? No. A Giorgia tocca riconciliare

Le elezioni politiche sono ormai alle spalle e ― unico vantaggio di una legge elettorale per il resto bislacca ― con una vincitrice, per caparbietà e merito, ma anche per le divisioni e gli errori palesi degli avversari nella loro campagna.

Giorgia Meloni (al momento fuori dai radar, ma aveva del resto preannunciato che dopo il 25 settembre avrebbe tirato il fiato per qualche giorno) e la sinistra di opposizione hanno davanti compiti non semplici: comporre il puzzle della squadra di governo la prima, ricostruire attraverso un processo anche doloroso un’identità e darsi nuovi dirigenti la seconda, mentre Conte è ringalluzzito dal successo meridionale dopo essere stato dato quasi per morto e nel già terzo ― e ora quarto ― polo i suoi due capi hanno deciso di passare dall’“avventura contingente” a una più stabile “unione civile”.

Tra processi di rinnovamento e di consolidamento identitario, una questione simbolica di non poco peso. Fra giusto un mese, il 28 ottobre, si compirà il centenario della marcia su Roma; fra circa due anni ― il 10 giugno 2024 – quello del rapimento e dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Con quale spirito li affronterà la leader di Fratelli d’Italia, che nel suo unico e sobrio discorso pubblico a urne chiuse da poco ha dedicato il successo del proprio partito «a chi non c’è più», in omaggio alla tradizione ideale da cui proviene, ma anche promesso di essere (se ne sarà incaricata, com’è naturale che sia) presidente del Consiglio di tutti gli italiani?

C’è l’occasione di un più che opportuno messaggio di riconciliazione, che sta poi agli avversari raccogliere. Attenta com’è a riaffermare l’orgoglio nazionale, potrebbe collocare tra le espressioni alte di un’indipendenza ritrovata, nel solco del Risorgimento, anche la liberazione della Patria dall’ipoteca straniera. Senza abiure esplicite di storie personali, che all’epoca spesso divisero drammaticamente anche padri e fratelli, autori di scelte opposte di fronte agli eventi, indicherebbe un terreno su cui costruire una memoria condivisa, fatta di storie particolari nel solco di un’unica grande Storia unitaria.

S’impone uno sforzo, pur senza sconti su quello che è stato o redistribuzione di meriti e demeriti. Bisogna guardare avanti di fronte alla crisi economica, alla guerra alle porte, a rapporti internazionali da mantenere ed è onesto riconoscere (anche se nessuno sembra ricordarlo) che per questa strada si era già incamminato Gianfranco Fini, prima di finire azzoppato da una brutta storia di tenore domestico, perché – come si sa – di destra o di sinistra che siano, i nostri connazionali tengono tutti famiglia.

Salvatore Prisco è avvocato e docente universitario

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