C’è qualcosa di peggio del tentativo di commissariare un Comune amministrato dall’avversario politico a pochi mesi dal voto? Sì ed è l’opportunismo che centrodestra e centrosinistra mostrano a proposito degli ispettori che dovranno fare luce sul ruolo dei clan mafiosi nell’amministrazione di Bari.
A dare la peggiore prova di sé sono stati i partiti che sostengono il governo Meloni. Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega hanno colto l’occasione dei 130 arresti eseguiti nell’ambito dell’inchiesta “Codice interno” per impugnare la clava della legislazione antimafia e colpire un avversario temibile come Antonio Decaro, che quasi certamente sarà eletto eurodeputato ed è proiettato ai vertici del Partito democratico. Come se quella dei magistrati fosse non un’indagine ma una sentenza definitiva, come se le infiltrazioni del clan Parisi nella gestione dell’Amtab fossero già state accertate, come se il procuratore barese Roberto Rossi non avesse sottolineato l’impegno dell’amministrazione per sbarrare alla mafia la strada di Palazzo di città. Dov’è finito, dunque, il garantismo del centrodestra? I partiti che si stracciano le vesti davanti alle inchieste a orologeria, che tuonano contro l’uso politico della legge e della giustizia, che vogliono separare le carriere di pm e giudici, che minacciano di sottoporre le toghe a test psicoattitudinali e assegnare loro le “pagelle”, adesso puntano ad abbattere un’amministrazione di centrosinistra sulla base di quello che è poco più di un semplice sospetto. E a condizionare una tornata elettorale che, per un centrodestra dall’encefalogramma piatto come quello barese, si preannuncia piuttosto complicata.
Le contraddizioni, tuttavia, non risparmiano lo schieramento opposto. Il Pd porta in piazza del Ferrarese migliaia di persone per protestare contro quello che ritiene un atto di squadrismo politico del ministro Piantedosi ai danni dell’amministrazione Decaro. Ma il Pd, insieme col Movimento Cinque Stelle, è il partito che più di ogni altro ha cavalcato l’ideologia del commissariamento dei Comuni, convinto del fatto che la criminalità possa essere sconfitta non attraverso l’antimafia sociale ma solo ed esclusivamente a colpi di amministrazioni sciolte e col tintinnar delle manette. Tanto nell’attuale centrodestra quanto nel campo largo c’è più di un esponente che vorrebbe vedere l’Italia ridotta come la Turchia, dove basta una generica accusa di terrorismo per far decadere i sindaci e sostituirli con commissari scelti da un governo che di certo non brilla per il rispetto dello Stato di diritto. E allora viene da chiedersi: il centrosinistra che si riversa a Bari vecchia è lo stesso che nel 2012 chiese con insistenza e ottenne il commissariamento di Reggio Calabria, dove la giunta di centrodestra del sindaco Demetrio Arena si era insediata solo da una manciata di mesi? È lo stesso che ha brandito la clava del commissario con decine di amministrazioni comunali di diverso colore politico? È lo stesso di cui faceva parte l’ex ministro Minniti, campione dello scioglimento dei Comuni, davanti al quale Piantedosi è un dilettante? Risposta scontata.
E allora centrodestra e campo largo farebbero bene a risparmiarci certi opportunismi e a concentrarsi sul vero tema di questa vicenda. E cioè su una legislazione antimafia che, dal 1991 a oggi, non è riuscita a bonificare la politica italiana, che ha nutrito la burocrazia di prefetti pronti a intascare compensi da capogiro ma non sempre all’altezza del compito, che troppo spesso si presta ad azioni di killeraggio ai danni dell’avversario politico. È giunto il momento di una riforma? Le coalizioni riflettano su questo e non sulle strategie per guadagnare qualche voto in più.