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Un taglio ai numeri e più visione, ecco il modello sul quale puntare

Viviamo in un tempo in cui tutto è performance. Ogni gesto, ogni attività, ogni respiro deve produrre qualcosa. Le nostre giornate sono ingabbiate dentro agende che non prevedono pause. Si lavora per raggiungere obiettivi, per rispettare scadenze, per “portare a casa il risultato”. E se non hai nulla da fare, sembri fuori dal gioco. Ma è proprio questo gioco che ci sta consumando.

Ci hanno insegnato che il valore di una persona, di un’impresa, di un Paese, si misura in base alla produttività. Non alla qualità della vita. Non al grado di felicità. Non alla capacità di generare comunità, ascolto, cooperazione. No. Tutto deve essere misurabile in termini di rendimento, efficienza, rapidità. Come se la velocità fosse sinonimo di progresso. Come se non ci fosse alternativa a questa corsa.

Ma la verità è che questa corsa sta consumando tutto: energie, relazioni, sogni, corpi, famiglie, territori. È tempo di dire basta. Ma non per arrenderci. Per iniziare un’altra strada. Una strada che si chiama meriggiare. Meriggiare non è fuggire. Non è oziare. Non è il lusso di chi può permettersi di non fare nulla. Meriggiare è un atto consapevole, una forma di resistenza, una nuova etica del tempo. È fermarsi per pensare, per respirare, per ascoltare. È scegliere di uscire dalla logica del “fare per fare” e iniziare a “fare con senso”.

Un’impresa che meriggia non è un’impresa lenta. È un’impresa lucida. Un leader che meriggia non è un leader debole. È un leader che sa distinguere l’urgenza dall’importanza. Un’organizzazione che meriggia non è inefficiente. È un’organizzazione che mette al centro le persone, il clima, la direzione.

Meriggiare, oggi, è un modello di gestione. È una nuova grammatica del lavoro e della vita. È uno stile manageriale che integra l’ascolto, la visione, il benessere come fattori strategici. Per troppo tempo abbiamo confuso la velocità con l’efficacia. Abbiamo pensato che chi lavora di più, chi dorme meno, chi risponde più in fretta, sia anche quello che vale di più.

Invece abbiamo solo creato eserciti di lavoratori ansiosi, dirigenti esausti, imprese senza anima. Abbiamo costruito interi sistemi che producono tanto ma comprendono poco. Che corrono ma non sanno dove. Che parlano di crescita, ma non vedono il vuoto che si lasciano dietro. Il meriggiare è la risposta.

È l’atto di fermarsi per vedere meglio. È l’arte di aspettare il momento giusto. È la capacità di lasciare spazio al pensiero. Ed è esattamente questo lo scarto rivoluzionario: smettere di rincorrere e iniziare a creare. Creare valore vero. Idee nuove. Relazioni solide. Non tutto deve produrre profitto. Ma tutto può produrre senso.

Per questo parlo di economia del meriggiare. Un’economia che non vive solo di numeri, ma di visione. Che non misura solo il Pil, ma anche il benessere condiviso. Che non mette al centro solo l’utile, ma anche il perché.

Siamo stati educati a produrre. Ora dobbiamo imparare a esistere. Ad ascoltare. A prenderci cura. A essere presenti davvero. Perché non è vero che chi si ferma è perduto. Chi si ferma, spesso, è l’unico che ha capito dove sta andando. E forse è proprio da lì che può iniziare una nuova direzione. Il futuro appartiene a chi saprà fermarsi nel momento giusto.

A chi saprà rallentare per scegliere meglio. A chi avrà il coraggio di dire: “Adesso basta. Voglio costruire qualcosa che abbia senso”. Perché alla fine, non ci salverà la produttività. Ci salverà il senso. E il meriggiare, se lo pratichiamo davvero, può essere la scintilla.

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