C’è un tema di cui si parla troppo poco. E quando se ne parla, lo si fa con toni spenti, tecnici, burocratici. È il tema del ritorno. Del ritorno possibile al Sud. Non come nostalgia. Non come romanticismo da emigranti. Ma come diritto. Come scelta legittima e concreta di benessere. Perché – diciamolo senza paura – il luogo in cui molte persone del Sud vivono oggi, lavorano oggi, non è sempre un luogo di benessere. È un luogo dove si sopravvive. Dove si lavora tanto, si corre troppo, si vive poco. Dove spesso si è soli. E dove il benessere viene scambiato per uno stipendio.
Ma il benessere vero è un’altra cosa. È la possibilità di alzarsi la mattina e sentire che intorno a te c’è una comunità. Che i tuoi figli possono crescere con radici. Che puoi fermarti a parlare con chi ti conosce da anni. Che il tempo ha ancora un valore umano e non solo produttivo.
Il Sud, se messo in condizione, può offrire tutto questo. Non ci servono solo incentivi economici. Ci servono scelte politiche coraggiose. Servono infrastrutture, sì. Servono servizi, scuole, ospedali, trasporti. Ma serve soprattutto una visione: trasformare il diritto a restare, e il diritto a tornare, in realtà quotidiana.
Non possiamo più accettare che chi vuole tornare al Sud debba farlo solo a costo di sacrifici, di precarietà, di rinunce. Il ritorno deve essere una possibilità agevolata, promossa, sostenuta. Perché il Sud ha bisogno delle sue persone. E le sue persone hanno bisogno del Sud. Non ci servono più narrazioni pietose. Non vogliamo più essere raccontati come “emergenza”. Siamo soluzione. Siamo energia. Siamo territori interi pronti a rigenerarsi se solo si mettessero in moto le condizioni per viverci davvero. Riabitare il Sud è un atto d’amore. Ma oggi deve diventare un diritto garantito. E non bisogna smettere di chiederlo. Di pretenderlo. Di costruirlo.
Bentornato,
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