Ai politici di casa nostra bisognerebbe dare un suggerimento e cioè quello di prendere posizione, su qualsiasi argomento, soltanto dopo aver verificato le dichiarazioni rese in precedenza. Molti, in questo modo, eviterebbero figuracce e al Paese sarebbero risparmiate riforme raffazzonate. Per comprenderlo basta analizzare la posizione dei principali partiti politici su un tema, quello del terzo mandato ai presidenti di Regione, tornato al centro del dibattito dopo la sorprendente apertura di Fratelli d’Italia sulla riforma per la quale la Lega spinge da anni.
Proprio il partito della presidente del Consiglio è il primo a cadere in contraddizione. Attraverso il deputato Giovanni Donzelli, infatti, Giorgia Meloni si è detta disponibile a valutare l’abolizione del limite dei due mandati consecutivi ai governatori, probabilmente col doppio obiettivo di allentare la tensione con l’alleato leghista e di minare il campo largo in Campania e Puglia. Eppure, soltanto qualche settimana prima, la premier aveva chiuso la porta alla riforma, decisa a sfilare una Regione strategica come il Veneto al suo vice Matteo Salvini. Non solo: il Governo aveva persino impugnato la legge della Campania che, interpretando la norma nazionale, mirava a far sì che il presidente Vincenzo De Luca, eletto per la prima volta nel 2015 e poi ancora nel 2020, potesse ricandidarsi al vertice della Regione.
Nemmeno la Lega è immune da contraddizioni. Oggi spinge per il terzo mandato. Eppure sapete chi era il ministro delle Riforme istituzionali nel 2004, quando il governo Berlusconi approvò la legge nazionale che fissa il limite dei due incarichi di fila? Niente di meno che Umberto Bossi, il fondatore del Carroccio.
A proposito di Berlusconi, anche Forza Italia non è esattamente “vergine” quando si parla di terzo mandato. Non più tardi di tre giorni fa, infatti, il segretario nazionale Antonio Tajani ha escluso il sostegno del partito alla riforma voluta dalla Lega. Peccato che continui segnali di apertura arrivino da Fulvio Martusciello: ieri l’europarlamentare e “uomo forte” di Forza Italia in Campania ha messo in chiaro che, in caso di abolizione del limite dei due mandati che non rientra nel programma di governo, la Lega dovrà mostrarsi disponibile a sostenere anche le proposte di Forza Italia.
Sul fronte opposto lo scenario è pressoché identico. Anzi, il Partito democratico merita l’Oscar delle contraddizioni. Elly Schlein non ha mai fatto mistero di essere contraria al terzo mandato per i presidenti di Regione. La segretaria nazionale dem, però, nulla dice sulle centinaia di sindaci (o ex) che voterebbero all’istante per abolire il limite dei due incarichi consecutivi anche per i governatori. Due nomi su tutti: Gaetano Manfredi, presidente dell’Anci che si è detto favorevole al terzo mandato in diverse circostanze, ma soprattutto il suo predecessore e oggi europarlamentare Antonio Decaro, che ha posto un interrogativo ancora senza risposta: «Perché un parlamentare può esserlo a vita e un amministratore locale, che si misura col consenso, non può?». Ma Schlein tace soprattutto sul caso di Vasco Errani, eletto prima nel 1999, poi nel 2004 e poi ancora nel 2009 alla guida dell’Emilia-Romagna. Qualcuno obietterà: il primo mandato di Errani era precedente alla legge nazionale che fissava il limite di due e quindi non va considerato. Giusto. Ma se i principi hanno un valore, Schlein dovrebbe spiegare perché, a suo tempo, il Pd non ha impedito la terza candidatura di filia che oggi, invece, viene negata a De Luca ed Emiliano.
Sia chiaro: qui nessuno vuole tirare la volata a questo o a quel candidato in questa o quella Regione né schierarsi a favore o contro il terzo mandato. Ciò che preme è sottolineare i pericoli che si celano in una riforma dettata soltanto dalle convenienze politiche del momento e dalla necessità di approvarla in tempi rapidi, visto che in Veneto, Campania e Puglia si dovrebbe votare tra pochi mesi. Il rischio è quello di una legge pasticciata proprio come quella del 2004, caratterizzata da norme ambigue che più di una Regione ha tentato di aggirare (il Veneto con successo, la Campania senza). Senza dimenticare la perdita di quel minimo di credibilità che ancora resta alla politica.