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Società liquida e digitale. Connessioni veloci e istantanee, ma relazioni troppo lente

Pensieri inediti e noia fertile. Il social non è più un “luogo” da visitare: è diventato un’estensione della nostra mente. Non si limita a collegare, ma colonizza gli spazi interiori: il tempo vuoto, la pausa di riflessione, la noia fertile. Sostituisce lo sguardo dell’altro con l’immagine filtrata di sé, e in questa sostituzione silenziosa si insinua il disorientamento del presente.Viviamo nella società liquida e digitale, dove la connessione è istantanea, ma la relazione non matura.

Come scriveva Zygmunt Bauman, «La nostra epoca è contrassegnata dal desiderio di relazioni leggere, facili da sciogliere, pronte per essere sostituite». In questo orizzonte, l’impegno reciproco appare un rischio e la responsabilità, un fardello da evitare.

Nel vuoto lasciato dalle relazioni profonde, emerge un nuovo gruppo sociale: i neutrali. Sono i moderni indifferenti di cui parlava Antonio Gramsci: «L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita». Oggi i neutrali non si dichiarano tali: si travestono da osservatori, spettatori connessi che scorrono la vita come un feed infinito, senza mai premere “partecipa”.

Questa attitudine si riflette anche nella politica. La società dell’inquietudine non produce cittadinanza attiva: preferisce la narrazione all’azione, il simbolo alla sostanza. I social trasformano la politica in un flusso estetico di immagini, slogan e “momenti virali” che scivolano via alla stessa velocità con cui sono stati creati. La militanza è sostituita dal like; il dibattito, dall’hashtag; la visione, dalla gestione quotidiana della crisi. In questo contesto, i leader populisti prosperano. Offrono certezze facili a un pubblico stanco di complessità e sedotto dall’idea che “il futuro è adesso” – purché non richieda sacrificio o profondità.

Ma senza una visione di lungo periodo, la politica diventa come la società che la esprime: liquida, digitale, e inquieta. Il futuro non è più una promessa collettiva, ma un orizzonte incerto che ciascuno osserva in solitudine. Eppure, come ricordava Albert Camus, «Nel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto che c’era in me un’invincibile estate».

Forse la sfida di oggi è proprio questa: non lasciare che l’inquietudine si trasformi in paralisi. Ritrovare la capacità di progettare, di agire e di resistere all’indifferenza travestita da neutralità. Perché il contrario dell’indifferenza non è l’odio: è la cura. E la cura è l’atto politico più radicale e necessario del nostro tempo. Il social non è più fuori. È dentro. Ci vive, ci parla, ci suggerisce cosa sentire. Ha occupato i tempi morti, il silenzio, lo sguardo perso fuori dalla finestra. Ha sostituito la voce dell’altro con la propria immagine riflessa e filtrata. La società liquida e digitale è veloce, ma non matura. Le relazioni si sfiorano, non crescono.

Bauman lo aveva detto: relazioni leggere, pronte a essere buttate. E noi abbiamo imparato a consumare anche le persone. In questo vuoto si muovono i neutrali. I moderni indifferenti di cui parlava Gramsci: «Odio gli indifferenti». Non prendono posizione, scorrono. Il feed è il loro mondo. Guardano tutto, non toccano niente. La politica li adora. Perché l’indifferenza è il terreno perfetto per il populismo: basta un post, un hashtag, un selfie con il giusto sfondo. La visione si riduce a una diretta streaming. La militanza a un click. La partecipazione a un’emoticon.Intanto cresce la società dell’inquietudine. Tutti connessi, tutti informati, tutti soli. Il futuro non è più progetto ma rumore di fondo. Sfumato, instabile, quasi superfluo.Ma non c’è inverno che duri per sempre.Serve il coraggio di scegliere, di esporsi, di rompere la neutralità.Perché il contrario dell’indifferenza è la cura.E la cura, oggi, è un atto politico.

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