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Più controlli per estirpare la malapianta del caporalato

C’è un settore nel quale, per certi aspetti, i divari tra Nord e Sud sono azzerati ed è l’agricoltura. Peccato, però, che qui non si parli di livelli di produzione, volumi di esportazione o sostenibilità delle imprese, ma di sfruttamento, ingiustizia sociale e diritti sistematicamente calpestati.

Lo scenario emerge dal settimo rapporto su caporalato e agromafie, realizzato dalla Flai-Cgil, che fissa un dato di partenza allarmante: nel settore agricolo italiano circa un lavoratore su tre è irregolare.

Sono ben 200mila, infatti, i “fuorilegge” sparsi nelle campagne dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia. In quel numero esorbitante sono compresi invisibili senza permesso di soggiorno, lavoratori senza contratto o con un contratto che copre solo una parte delle ore di servizio, disperati costretti ad accettare le misere paghe offerte dai caporali.

Tutti hanno in comune un aspetto: la diminuzione dei loro diritti fondamentali. Chi avesse qualche dubbio può dissiparlo riflettendo sulla retribuzione dei lavoratori sfruttati nel settore agricolo. Già, perché queste persone guadagnano mediamente 6mila euro lordi l’anno. Proprio così: lordi, l’anno. Ben al di sotto della soglia di povertà. Questo scenario si presenta in modo pressoché uniforme sul territorio italiano. Uno dei casi più eclatanti è quello della Basilicata, dove gli sfruttati censiti dalla Flai Cgil sono circa 10mila di cui cinque residenti e altrettanti avventizi o pendolari.

Non va meglio nel Crotonese o in Piemonte, dove gli sfruttati oscillano rispettivamente tra 10 e 12mila e tra 8 e 10mila. I dati sui quali vale la pena di riflettere, a questo punto, sono quelli che riguardano irregolarità e controlli. Nel 2023, infatti, è risultato fuorilegge quasi il 60% delle 3.529 aziende agricole sottoposte a ispezione, tanto che reati e illeciti amministrativo sono aumentati complessivamente del 153% e gli arresti dell’80. Le autorità si danno da fare, per carità, ma forse potrebbero e dovrebbero “spingere” di più. Perché meno di 4mila controlli l’anno, in un settore che conta una miriade di imprese e che secondo l’Istat vale 73 miliardi di euro, sembrano un po’ pochi.

Come se ne esce? La strada maestra è quella dei controlli. Il che significa almeno triplicare le ispezioni che annualmente vengono effettuate nelle aziende agricole. Oltre che più frequenti e stringenti, però, i controlli devono essere più capillari, vista la diffusione della piaga dello sfruttamento, e frutto di programmazione, cioè di una strategia che non favorisca le solite sacche di impunità. Ed è altrettanto indispensabile la completa applicazione della legge sul caporalato, di fatto ignorata proprio nella parte che oggi sarebbe più necessaria e che prevede l’accoglienza dignitosa per i lavoratori.

Ecco, qualcuno farebbe bene a ricordare alla premier Giorgia Meloni, al ministro Francesco Lollobrigida e a tutte le forze parlamentari la necessità di cancellare la vergogna dei lavoratori sfruttati in agricoltura. Perché non ha senso parlare di sviluppo, sostenibilità e ambiente se non si tutelano i diritti delle persone.

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