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Maggino: «Transizione sostenibile? Sì, ma servono politiche non frammentate»

«Il benessere integrale deve tornare al centro delle decisioni degli Stati. Transizione sostenibile? Possibile se si adottano politiche non frammentate»: parola di Filomena Maggino, ordinaria di Statistica sociale presso l’Università “la Sapienza” di Roma, già consigliera del presidente del Consiglio dei ministri, numero uno della cabina di regia Benessere Italia di Palazzo Chigi, e direttrice della rivista scientifica “Social Indicators Research”.

Partiamo da una domanda fondamentale: cosa significa per lei “benessere integrale” nel contesto della sostenibilità?

«Il concetto di benessere integrale è una visione olistica che unisce le dimensioni economiche, sociali, ambientali e culturali. Non si tratta solo di migliorare le condizioni materiali, ma di garantire che ogni individuo possa vivere una vita piena, dignitosa e in armonia col pianeta. Questo approccio richiede di abbandonare visioni frammentarie e adottare una prospettiva sistemica che consideri le interconnessioni tra i vari ambiti. I recenti fenomeni che hanno visto coinvolti su diversi piani hanno messo in evidenza come la fragilità e l’insostenibilità mostrate da molti Paesi fossero strettamente connesse alla mancata attenzione al benessere delle persone. Non aver messo al centro delle decisioni il benessere sistemico ha portato popolazioni e Paesi ad essere altamente fragili e non sostenibili. In altre parole, la sostenibilità di un Paese (ma anche di un soggetto) è strettamente connessa con il livello di benessere sistemico».

Nel recente convegno Icsa 2025 organizzato dal gruppo Sis Dias a Firenze, lei ha parlato dell’importanza di un approccio basato sulla teoria del cambiamento. Può spiegarsi meglio?

«La teoria del cambiamento è uno strumento metodologico che ci aiuta a progettare percorsi di trasformazione, partendo dall’identificazione degli obiettivi e dei risultati desiderati studiando le dinamiche di trasformazione. In un contesto di sostenibilità, è cruciale capire non solo dove vogliamo arrivare, ma anche quali passi intraprendere e quali ostacoli affrontare. Durante il convegno, abbiamo discusso come questa teoria possa guidare l’analisi dei fenomeni complessi e aiutare a prevedere gli impatti delle nostre azioni sul lungo termine, in linea con i principi dei future studies».

A proposito di future studies, quale ruolo giocano nella pianificazione per il benessere delle future generazioni?

«Nei sistemi complessi le previsioni non sono possibili. Soprattutto non esiste un futuro unico e inevitabile. Davanti a noi esistono tanti possibili futuri: le decisioni che prenderemo condizioneranno il futuro e il futuro è già presente nelle azioni che oggi intraprendiamo. Per questo è importante analizzare i sistemi complessi al fine di identificare tendenze e rischi emergenti (da qui l’importanza dell’analisi del “cambiamento”) al fine di prendere decisioni informate e di sviluppare strategie resilienti».

Icsa 2025 ha sottolineato l’importanza dell’analisi dei fenomeni complessi. Come possiamo applicare queste tecniche alla sostenibilità?

«L’analisi dei fenomeni complessi si basa sul riconoscere le interazioni dinamiche tra i diversi fattori e le relazioni tra gli elementi che costituiscono un sistema. Nel campo della sostenibilità, questo significa considerare, ad esempio, come determinate politiche finalizzare ad affrontare questioni ambientali possano influire sull’economia, sulle disuguaglianze sociali e sulla biodiversità. Al convegno, abbiamo discusso casi pratici, come la modellizzazione di indicatori per monitorare la resilienza urbana o l’effetto delle politiche legate alla mobilità alternativa. Questi approcci aiutano a progettare interventi più efficaci e a evitare conseguenze indesiderate».

Quali sono le sfide più urgenti per garantire una transizione sostenibile?

«La sfida principale è definire politiche non settoriali o frammentate. Si pensi, a tale riguardo all’importanza che ha l’istruzione e la formazione sul futuro di una società. Definire politiche armonizzate consente anche di evitare e/o affrontare in modo sistemico il tema dalle disuguaglianze multidimensionali».

Che ruolo giocano i dati e gli indicatori in questo processo?

«I dati sono fondamentali per poter sviluppare indicatori in grado di monitorare la complessità dei fenomeni e per prendere, conseguentemente, decisioni consapevoli. Al convegno, ad esempio, è stata ribadita l’importanza di sviluppare sistemi di indicatori per misurare il benessere con approccio multidimensionale prendendo in considerazione più domini. Attraverso i sistemi di indicatori è possibile non solo monitorare i progressi, ma è possibile anche identificare le aree critiche su cui intervenire».

Quale messaggio serve trasmettere ai giovani interessati a lavorare per un futuro sostenibile?

«Ai giovani dico: siate curiosi, critici e audaci. Il progresso del sapere richiede di esplorare nuovi campi e di collaborare con esperti di diverse discipline. Ricordate che ogni azione conta: anche i piccoli cambiamenti possono generare un grande impatto se guidati da una visione chiara e da un impegno collettivo. Ed è per questo che occorre anche essere rispettosi di sé, del proprio corpo e della propria mente, degli altri, dei territori, della vita in tutte le sue forme».

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