Puglia ed Emilia-Romagna hanno formalmente interrotto ogni relazione istituzionale con Israele per condannare le sue operazioni militari nella Striscia di Gaza. Una posizione politica che ha carattere simbolico e non dovrebbe avere implicazioni di pressione economica, in quanto le relazioni commerciali tra le due Regioni e lo Stato isreaeliano sono quasi assenti, e poi, le Regioni non hanno alcun potere di embargo.
Ogni guerra, come è noto, ha la sua dimensione economica che si traduce in opportunità di commesse e profitto per le industrie belliche. Alimentare la potenza di uno dei più grandi eserciti del mondo, l’Israel Defense Forces, in una guerra asimmetrica contro una organizzazione che pratica la guerriglia terroristica, condotta in uno spazio urbano densamente popolato, e che coinvolge brutalmente anche la popolazione civile, richiede una efficiente capacità logistica, il cui elemento essenziale e il rifornimento continuo degli armamenti, sottoposti a distruzione e logorio.
Si tratta quindi di capire da chi è sostenuta la catena logistica che permette all’Israel Defense Force di continuare una lunga guerra diretta all’annientamento completo dell’avversario. Ebbene, l’Italia, secondo i dati pubblicati da Stockholm International Peace Research Institute, è il terzo fornitore di armi per Israele, contribuendo con circa lo 0,9% nel periodo 2019-2023 alle importazioni belliche israeliane, dopo gli Stati Uniti, primo fornitore con il 69% e la Germania, con il 30%. Le esportazioni di armi italiane verso Israele si è ridotta in questi anni, ma non è del tutto annullata, assicurando nel 2023 entrate per ben 13,7 milioni di euro.
La legge 185 del 1990 vieta di vendere armi ai Paesi in guerra e dal 7 ottobre 2023, dall’inizio di questo conflitto, come ha dichiarato il ministro Guido Crosetto, non sono state concesse nuove autorizzazioni per il trasferimento di armi in Israele, anche se sono stati adempiuti gli obblighi contrattuali risalenti al periodo precedente. Resta in vigore, nonostante le proteste di giuristi e alcuni parlamentari, il Memorandum militare Italia-Israele, un accordo ventennale siglato nel 2005 che consente lo scambio di tecnologie, brevetti, software e informazioni riservate sotto segreto militare: un’intesa che si rinnova automaticamente ogni cinque anni. Andando nel dettaglio delle armi di produzione italiana fornite ad Israele, la Leonardo fornisce alla marina israeliana cannoni navali 76/62 installati su corvette, un sistema d’arma leggero e a fuoco rapido, in grado di sparare oltre 100 colpi al minuto.
Sempre il gruppo Leonardo fornisce aerei da addestramento avanzato Aermacchi M-346 Master ed elicotteri di addestramento AgustaWestland AW119 Koala. La Leonardo fornisce anche componenti e sistemi elettronici, partecipando con la controllata Drs Rada Technologies allo sviluppo del sistema di protezione attiva “Iron Fist”, utilizzato su veicoli corazzati israeliani come il trasporto truppe corazzato Eitan e i bulldozer Caterpillar D9, impiegati ampiamente in questo conflitto. Ovviamente tali sistemi d’arma richiedono continua manutenzione e pezzi di ricambio che sono in genere gestiti dalle stesse imprese fornitrici.
Seppur non si può parlare di un massiccio coinvolgimento diretto dell’industria bellica italiana in questo conflitto, la fornitura di armi continua, sia nel rispetto dei contratti sia in modo clandestino, come dimostra il sequestro nel porto di Ravenna di un carico di 14 tonnellate di componenti di armi diretti a Israele, per un valore di 250mila euro, proveniente da una ditta di Lecco, che già aveva effettuato altri quattro invii senza chiedere l’autorizzazione prescritta dalla legge del 1990.