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L’invecchiamento attivo? Antidoto all’inverno demografico

Negli ultimi decenni, l’Italia ha registrato un significativo aumento dell’aspettativa di vita, che si colloca tra le più alte al mondo: 80,6 anni per gli uomini e 84,8 per le donne, secondo i dati Istat del 2023. La questione centrale non riguarda solo la longevità, ma anche la qualità di vita degli anni aggiuntivi.

Si parla sempre più di invecchiamento attivo, un concetto che integra il mantenimento di buone condizioni di salute, partecipazione sociale e indipendenza funzionale. L’analisi di Paolo Pasetti e Loris Vergolini, basata su dati Istat raccolti tra 2013 e 2021, ha evidenziato come la salute degli over 55 sia fortemente influenzata da variabili socio-economiche e territoriali. Attraverso una cluster analysis, è emerso che circa il 75% degli anziani italiani gode di condizioni di salute soddisfacenti, mentre il restante 25% affronta difficoltà più o meno gravi.

Le differenze di salute tra Nord e Sud Italia sono particolarmente significative. Regioni come Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia sono spesso citate come esempi virtuosi grazie a sistemi sanitari robusti e a un’efficiente gestione dei servizi sanitari. Queste Regioni offrono un accesso più rapido a cure specialistiche e una rete capillare di servizi territoriali, che contribuiscono a mantenere alti gli standard di cura e a promuovere l’invecchiamento attivo. Al contrario, la Puglia e altre regioni del Sud affrontano sfide maggiori.

L’accesso limitato a strutture sanitarie specializzate e a servizi di assistenza domiciliare, unito a una minore densità di professionisti sanitari, rende difficile garantire agli anziani una qualità di vita paragonabile a quella del Nord. In Puglia, per esempio, l’utilizzo dei servizi sanitari è spesso meno frequente non per scelta, ma per carenze strutturali che portano gli anziani a rinunciare a visite e trattamenti.

Il risultato è che le condizioni di salute croniche e le disabilità si aggravano, riducendo le possibilità di invecchiare in modo attivo. L’istruzione e il livello socio-economico giocano un ruolo cruciale in questo contesto. In generale, individui con un’istruzione più alta tendono a godere di una salute migliore, grazie anche a una maggiore capacità di accesso e comprensione delle informazioni mediche.

Questo fenomeno è meno evidente nelle aree meridionali, dove le disuguaglianze sociali sono più marcate e limitano le opportunità di salute per ampie fasce della popolazione. Le politiche di welfare regionali si riflettono anche nei dati sui profili di salute degli anziani. Il Sud, compresa la Puglia, registra un numero più alto di patologie croniche, come dimostrato dai cluster più a rischio individuati dallo studio di Pasetti e Vergolini. Per invertire questa tendenza, è necessario rafforzare i servizi di prevenzione e assistenza primaria, migliorare l’accesso alle cure e promuovere stili di vita sani, investendo in strutture sanitarie moderne e in un sistema di welfare che supporti gli anziani nel vivere in modo indipendente e dignitoso.

Il progetto AMICA, finanziato dal Ministero della Salute, diretto dal professore Angelo Vacca (coordinatore Citel-Uniba) si propone proprio di utilizzare la telemedicina per monitorare lo stato di salute degli anziani e promuoverne l’invecchiamento attivo. LItalia si trova di fronte alla sfida di garantire non solo la longevità, ma una longevità di qualità. Mentre il dibattito sull’autonomia differenziata si fa sempre più aspro si sente sempre più forte l’esigenza di coniugare le politiche nazionali e regionali, con una visione a lungo termine del welfare. Questo sforzo è fondamentale per affrontare le disuguaglianze territoriali e costruire un futuro in cui tutti gli anziani possano invecchiare in modo attivo e in buona salute, indipendentemente dalla regione di residenza.

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