Ed eccoli lì, in quel caldo agosto del 1620, dopo aver messo a ferro e fuoco la città, saccheggiando case e chiese e catturando numerosi abitanti da destinare alla schiavitù, i soldati ottomani si ritirarono nelle loro tende fuori dalle mura di Manfredonia e nel silenzio della notte, rotto solo dal crepitio degli ultimi incendi, alcuni di loro si riunirono attorno a piccoli fuochi. I volti stanchi ma vittoriosi, accesero le loro pipe intagliate in schiuma di mare, condividendo racconti di battaglie passate e sogni di future conquiste.
Chissà che proprio alcune di queste pipe, per distrazione o nella fretta della partenza, non siano cadute, rimanendo sepolte sotto le macerie lasciate dai turchi. Esattamente quattro secoli dopo, durante i lavori per il Museo civico Manfredi in corso in questi giorni al pianterreno di Palazzo san Domenico, affacciato sul lungomare Nazario Sauro, queste testimonianze silenziose sono riaffiorate dalla terra. Gli scavi sotto il pavimento rimosso hanno riportato alla luce pipe turche del Seicento, raccontando una storia di invasioni, saccheggi e culture intrecciate.
E chissà, magari la più bella tra quelle ritrovate apparteneva proprio ad Alì Pascià, il comandante della flotta. Forse le sue mani, segnate dalle battaglie, stringevano una pipa finemente intagliata, dalla quale esalava fumo profumato, mentre dava ordini alla sua flotta di ripartire, portando via con sé il bottino e gli schiavi sipontini.
Queste pipe, con le loro forme eleganti e le decorazioni elaborate, un giorno saranno esposte nelle teche del museo, testimoni silenziose di uomini crudeli, di predoni venuti dal mare che seminarono morte e distruzione nella nostra città, ammazzando, uccidendo e stuprando. Eppure, in un gesto di inquietante normalità, quegli stessi uomini si concedevano momenti di quiete tra una battaglia e l’altra, con una pipa in mano e lo sguardo rivolto verso l’ignoto. Forse questa volta la mia fantasia ha fatto voli immensi, e probabilmente non sapremo mai davvero a chi appartenessero quelle pipe e quale racconto si celi dietro di esse, ma una cosa è certa: in quel caldo giorno d’agosto del 1620, mentre Manfredonia giaceva ferita dal saccheggio, alcuni soldati ottomani strinsero tra le mani le loro pipe, ignari che, secoli dopo, quelle stesse pipe sarebbero riemerse dalla terra per raccontare la loro storia.
Maria Teresa Valente è assessora alla Cultura del Comune di Manfredonia
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