Nell’armamentario del secolo scorso, una delle immagini retoriche più ricorrenti era quella della “torsione autoritaria” che faceva il paio con l’invito alla “vigilanza democratica” contro le “derive securitarie”. Più che secolo breve, secolo perenne. Cosa resta oggi di questo abecedario post bellico, cruento? Nulla, a mio avviso.
Il virgolettato è un colluttorio per iniziati, agitato da addetti stampa attempati e annoiati. Parole che non dicono nulla in un contesto di anomia diffuso, laddove per anomia intendo, letteralmente, quella afasia per cui il soggetto riconosce gli oggetti ma non sa definirli o chiamarli con il loro nome. Questa malattia, invece, è il nome della nostra pandemia. Eppure un abecedario è fondamentale, specie per la democrazia, la cui crisi, anche morale, è ascrivibile prorpio all’afasia, all’incapacità di dare un nome alle cose, alla storia, al suo divenire per quanto contraddittorio, tumultuoso, per nulla lineare.
Credo siano ascrivibili al tentativo di surrogare questo bisogno essenziale gli ultimi interventi del Presidente della Repubblica, in modo specifico quello tenuto all’università di Marsiglia.
Parole nitide, chiare: «Emergono figure di neo-feudatari del Terzo millennio – novelli corsari a cui attribuire patenti – che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche».
Sui neo-feudatari Mattarella si era soffermato anche nel dicembre del 2023 mettendo in guardia dagli “oligarchi di diversa estrazione” che “si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social, agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri”. E che il gioco sia grande e che travalichi i nostri confini lo attesta il soggetto chiamato a svolgere un ruolo, appunto democratico, di rilievo sistemico: l’Europa.
E proprio in quel discorso, questa soggettività necessaria dell’Europa, la si riscontra e la si definisce in modo assolutamente preciso e pertinente: “L’Europa intende essere oggetto nella disputa internazionale, area in cui altri esercitino la loro influenza, o, invece, divenire soggetto di politica internazionale, nell’affermazione dei valori della propria civiltà? Può accettare di essere schiacciata tra oligarchie e autocrazie? Con, al massimo, la prospettiva di un “vassallaggio felice”. Bisogna scegliere: essere “protetti” oppure essere “protagonisti?”.
L’agenda politica, la lista della spesa, è questa, non altra. E, a mio avviso, nonostante lo spessore morale prima che politico del nostro Presidente, la disputa travalica la necessità o meno di un nuovo partito dei cattolici ovvero la riorganizzazione di una area di centro. Nè una rincorsa ad un moderatismo di maniera che uno come Mino Martinazzoli liquidò tempo addietro in modo definitivo.
La questione non è di schieramenti, ma di visioni di futuro, della capacità di elaborare un pensiero sul mondo, sulla vita. A noi manca questo come il pane. Paradossalmente ci imbattiamo in una contronarrazione barbara e potente – che non parte da oltre Oceano, ma che è molto più indigena di quanto si possa immaginare – che non stimola altro che formule verbali, inutili; che non sposta la partita nel campo aperto della dialettica, ma che erode paradossalmente la stessa capacità di antitesi.
Sulla Libia e sui torturatori, per esempio. Cartina di tornasole perfetta: non solo della trasversalità delle frequentazioni ma dell’idea stessa che la gestione del potere sia connaturata a certe pratiche di connivenza: riassuntivamente il problema era riconducibile non già al mancato arresto del criminale ma alla mancata apposizione del Segreto di Stato. Questo obbrobrio è trasversale e comune a larga parte del pensare e dell’agire politico. E dice di noi in modo vero, autentico. Così come la distesa di corpi di soldati nordcoreani senza vita coperti dalla neve, dice dell’Europa. Non sarà facile trovare la forza – aggrappandosi magari a qualche volto serio e severo – per rimontare la china.