Viviamo in un’epoca in cui il valore di una persona, di un’idea o di un’opera sembra essere determinata dal numero dei like, dei follower, delle copie vendute, delle visualizzazioni. I “numeri” sembrano essere l’unico fattore indispensabile per decretare il successo in tutti i settori. La qualità, l’originalità e l’autenticità sono elementi che passano in secondo piano, trasformando ogni ambito della società in uno spazio virtuale dove solo chi detiene o accumula consensi numerici può essere considerato un “vincente”.
I social network rappresentano l’immagine più evidente della schiavitù dei numeri. I contenuti proposti sono sempre più superficiali, sensazionalistici o, nel peggiore dei casi, falsificati. La ricerca esasperata dell’approvazione digitale può, in molti casi, diventare un’ossessione.
Nell’editoria moderna un libro viene valutato in base al numero di copie vendute e per la sua posizione nelle classifiche e sempre più frequentemente a prescindere dalla qualità della scrittura o dalla profondità del suo pensiero. Inoltre, spesso gli editori preferiscono puntare prioritariamente su autori o influencer che hanno già una forte presenza sui social, prescindendo dal valore letterario o contenutistico delle loro opere.
Sulla stessa linea si pone il settore discografico, in cui i brani sono composti da uno stesso team di autori, sostenuti da logiche di marketing che nulla o poco hanno a che vedere con la creatività, con l’originalità e con la libertà d’espressione. Le case discografiche investono sempre più su artisti che possono garantire milioni di stream sulle piattaforme digitali, spesso grazie a strategie di marketing aggressive. La musica è diventata un prodotto di consumo rapido, costruito per funzionare negli algoritmi di Tik Tok o Spotify. Tutto ciò provoca una omologazione che sacrifica la sperimentazione in nome del successo rapido, immediato e spesso effimero.
La maggiore implicazione di questa visione distorta riguarda le persone ed i giovani in particolare, la cui idea di successo personale si lega al numero delle interazioni e dei riconoscimenti digitali. Ciò crea ansia da prestazione social, frustrazioni, insicurezze, necessità di apparire per “essere”. Sicuramente tutto ciò è frutto dell’affermarsi della cultura di massa e delle nuove tecnologie, che hanno imposto standard differenti rispetto al passato. Tuttavia, dinanzi alla consistente destrutturazione culturale in corso, sarebbe opportuno incentivare, soprattutto nelle nuove leve, il potenziamento del pensiero critico, il recupero dell’importanza della cultura, dell’arte e dell’autenticità. È una sfida necessaria da affrontare per il futuro, per non cadere ulteriormente nella dittatura dei numeri e per restituire valore e dignità alle persone e alla realtà che ci circonda.