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La riforma non riforma la giustizia

Il disegno di legge costituzionale che si appresta a completare il suo iter parlamentare viene celebrato come un “risultato storico”. E lo è, purtroppo. Ma non per le ragioni sbandierate. È storico perché, per la prima volta nella storia della Repubblica, si modifica l’assetto costituzionale della magistratura non per renderla più efficiente, trasparente o vicina ai cittadini, ma per ridisegnarne i rapporti con gli altri poteri dello Stato, indebolendo il suo ruolo di garanzia.

Non si tocca un solo nodo della giustizia che incide sulla vita delle persone: la lentezza dei processi, l’abbattimento degli arretrati, la carenza di organico, l’accesso dei meno abbienti. Si interviene invece sul cuore dell’equilibrio democratico: il governo autonomo della magistratura viene diviso, svuotato del potere disciplinare e privato di rappresentatività, con il sorteggio.

Si parla di “sogno che diventa realtà”. Ma non è un sogno dei cittadini, né dei giuristi. È la realizzazione di un progetto che mira a depotenziare la funzione di contrappeso della magistratura rispetto agli altri poteri, ponendo la prima sotto il controllo politico. La storia repubblicana insegna che l’autonomia della magistratura non è un privilegio di casta, ma una garanzia per tutti. Se si spegne la voce plurale dei magistrati, intervenendo sui meccanismi che nell’attuale assetto costituzionale pongono i magistrati al riparo da condizionamenti politici, si colpisce la democrazia nella sua architettura, non nel suo arredo. L’Anm, come sempre, sarà leale. Ma la lealtà alla Costituzione viene prima di ogni altra. La vera riforma della giustizia resta ancora da fare. *Presidente Anm Bari

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