La tragica morte di Andrea, suicida in una stanza affittata apposta per concretizzare la tragedia accende i riflettori su diverse dinamiche che interessano sia aspetti personali di un possibile disagio insito nella struttura di personalità del ragazzo, sia sulle dinamiche intrafamiliari e relazionali nelle quali si ipotizza l’esordio del disagio stesso e di conseguenza proiettato anche in una società considerata ostile e inospitale per Andrea.
Andrea, è stato definito un ragazzo fragile, molto riservato, dai genitori considerato “molto tranquillo”, forse, fin troppo per non aver, probabilmente vissuto e superato una fase adolescenziale in cui la ribellione per autoaffermarsi e definire il suo essere per poi uscire ed esperire in società la sua autoefficacia. Nel passaggio evolutivo dall’infanzia all’adolescenza ci sono delle dinamiche co-costruite con il nucleo familiare automaticamente dove, se l’adolescente non riesce a conquistare l’autonomia e a ribellarsi guadagnandosi ciò che sente dal punto di vista fisico, sentimentale, emotivo, relazionale, di studio, rimarrà bloccato in una zona comfort simil autistica, un mondo tutto suo, dove la riservatezza, la timidezza, l’introversione, la scarsa autostima, il senso di inadeguatezza faranno da motrice per i disfunzionali tentativi di autoaffermazione che il giovane poi, può fare, attraverso la rete.
La rete è il mondo virtuale caratterizzato da un filtro, a sua volta rappresentato dall’assenza di interazione reale, dove non vi è la necessità di mettersi in discussione e di piacere a tutti i costi anzi, spesso è il luogo dove tutti i difetti sembrano scomparire.
Importante è osservare come autostima, autoefficacia, autonomia, sicurezza sono caratteristiche che si apprendono, senza volerlo, nella famiglia. È sulla base di come i genitori vivono e gestiscono certi loro aspetti e di come in base a questi si relazionano ai propri figli, che i figli poi fanno propri e conquistano la successiva fase dello svincolo.
La “troppa tranquillità” di Andrea lascia ipotizzare proprio una dinamica evolutiva come quella appena descritta. I giovani in fase di svincolo vivono anche la paura di deludere i propri genitori, invece ogni figlio va amato e riconosciuto indipendentemente dalle sue scelte compatibili o meno con quello che i genitori si aspettano da lui o da lei.
Questa è la ragione per la quale, poi, i figli rinunciano alla possibilità di autoaffermarsi a livello emotivo e relazionale, rimanendo in un modo di essere inappagante, ma che può garantire loro la possibilità di essere un bravo figlio degno del loro amore. Questo non è proprio così, anzi, lo svincolo è un cambiamento e, in quanto tale, prevede una crisi senza la quale il cambiamento non avviene e l’autonomia e l’affermazione di sé, quindi la crescita, sia del figlio, che della famiglia non avviene.
Scarsa autostima e notevole sensazione di impotenza e paura di non farcela, benché avesse tentato lo svincolo andando via all’Università, andando a vivere da solo e dove potersi gestire da solo, fragilità del sistema e profondo disagio, probabilmente dovuto ad uno svincolo e ad un’autonomia relazionale mai conquistata, possono aver rappresentato per Andrea le motivazioni psicologiche profonde che lo hanno indotto a rimanere vittima della rete, di chi ha rinforzato e incitato il suo bisogno di decidere un gesto disperato per sé non essendo riuscito a fronteggiare il mondo reale, dove l’aggravante è stata rappresentata da bulli e altri soggetti ugualmente problematici che, per altra tipologia di disagio, abitano la rete e configurando, come nel caso di specie, in una dinamica di aggressore – vittima, la commissione di un vero e proprio reato del quale dovranno rispondere.
Bentornato,
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