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La legge crea nuovi reati e così lo Stato continua a “fabbricare” detenuti

Il ventunesimo rapporto annuale di Antigone sulle condizioni di detenzione, presentato negli scorsi giorni, è opportunamente intitolato “Senza respiro”. Purtroppo il respiro manca non soltanto alle persone detenute, bensì a tutti coloro che incrociano le strade della loro esistenza con gli istituti destinati a privare le persone della libertà personale. La parola “carcere” ferma il respiro, l’idea delle mura rigide e invalicabili che ne segnano i confini consegna alle cittadine e ai cittadini l’idea di un mondo che separa -come se fosse possibile farlo – il male dal bene e che rassicura i buoni punendo, tenendoli da parte, i cattivi.

Il pensiero alla privazione del bene più prezioso per una persona, ossia la libertà, spesso ancor prima che l’Autorità giudiziaria abbia sancito la sussistenza della sua penale responsabilità, colpisce dritto al cuore della sensibilità umana. Nessuno può sapere quanto potrà resistere “in apnea” una persona che trascorre una parte della sua vita dipendendo da altre persone, dopo avere perso il diritto a scegliere, a decidere e finanche a pensare. Il concetto diviene ancor più grave se si pensa alle modalità di espiazione della sofferenza, rese terribili dall’alto numero dei detenuti, dal basso numero dei detenenti e dalla proverbiale inefficienza delle strutture penitenziarie.

Antigone ha potuto constatare “cosa significa un sistema penitenziario in crisi profonda di identità: corpi ammassati in celle chiuse, spazi inadeguati, tensione alle stelle, sofferenza generalizzata, condizioni igieniche e sanitarie inaccettabili, educatori stanchi, poliziotti in difficoltà, direttori provati, medici preoccupati, volontari a malapena tollerati”. Il problema diventa dramma se si pensa al fatto che le recenti riforme non potranno che aggravare la situazione facendo sprofondare ancor più il sistema. La creazione di nuove fattispecie di reato, anche endocarcerarie, come quella che punisce pesantemente chi si limita a esprimere anche passivamente il suo dissenso, significa che il carcere, anziché accompagnare la persona in un percorso di graduale reingresso nella compagine sociale provando a renderla migliore, paradossalmente fabbricherà altro carcere. Si entrerà in carcere per una fattispecie e se ne uscirà dopo tanti anni per altre fattispecie, anche di carattere omissivo.

E nel frattempo la capienza diminuisce e la popolazione detenuta aumenta: ci dice Antigone che “in due anni la capienza effettiva è diminuita di 900 posti mentre i detenuti sono cresciuti di 5mila unità”. Con un sovraffollamento medio superiore al 133%, ci si ostina a creare nuovi reati, nuove ostatività e nuove piattaforme che portano a nuovi reati. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, al cosiddetto “decreto Caivano”, nato – come sempre – sull’onda emotiva di un gravissimo fatto di cronaca, per cui anche persone minorenni che abbiano riportato una sola denuncia per fatti accaduti all’interno o nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero qualsivoglia esercizio in cui si somministrano o vendono – anche per asporto – alimenti o bevande, rischiano di subire la misura, emanata dal questore, del divieto di accesso agli stessi locali o ad esercizi analoghi, ovvero di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali o esercizi o delle scuole, plessi scolastici e sedi universitarie. L’eventuale violazione di questi divieti, così sfuggenti e incomprensibili per i destinatari, comporterà la realizzazione di una nuova fattispecie di reato punita con la reclusione.

E continua la fabbrica del carcere. Le persone minorenni, invece di essere accompagnate nel percorso della crescita, si sentiranno dapprima escluse dalla società a mezzo dei divieti di mero stazionamento in certe zone dei centri urbani e poi addirittura scaraventate nel ghetto della detenzione. Il tutto per essere state attinte da una denuncia! Antigone ci dice che nove istituti penitenziari per minorenni su diciassette sono sovraffollati. Lo scorso anno ha il tristissimo record dei suicidi in carcere. Per evitare il susseguirsi dei suicidi delle persone divorate dall’ozio e dall’assenza della speranza, bisogna seriamente impegnarsi perché possano entrare in carcere meno persone possibile e soprattutto perché ne possano uscire di più di quelle che sono entrate.

Occorrono coraggiose scelte emergenziali, come ad esempio quella della liberazione anticipata “speciale”, affiancate da scelte prospettiche per razionalizzare l’uso della massima misura cautelare e per evitare gli accessi al carcere per i condannati a una pena inferiore a quattro anni di reclusione, con un favor incondizionato per la detenzione domiciliare. Con risparmio di spese e di salute per tutti e con un tuffo in un Paese con un sistema giudiziario civile ed efficiente.

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