Come ogni anno, anche quest’anno ci è toccato sorbirci la fustigante graduatoria delle migliori città italiane. Le città dove si vive meglio. Le città più efficienti, quelle più smart, come si dice oggi nella nuova lingua metropolitana in luogo di “intelligenti”. Quelle più rapide e veloci, quelle nelle quali tutto funziona o niente funziona. Quelle in cui la gente ha sempre fretta e ha sempre qualcosa da fare ed a cui non è il caso di rivolgere alcuna domanda: le persone non avrebbero tempo e modo di rispondervi e inoltre rivelereste il vostro animo retrogrado e… meridionale. Il massimo che potreste sentirvi dire è che tutto quel che vi serve lo trovate sul vostro smartphone. Perché, nelle città in testa alla classifica, la connessione è una scheggia, altro che la claudicante linea del Sud.
Se poi vai in ospedale, al pronto soccorso non devi restarci una notte intera e parte della giornata successiva. Anche lì sono efficienti e rapidi. E i treni? Le metropolitane? Gli aerei? Roba da non crederci. Venite, venite pure nel regno della bella e buona vita. Soprattutto voi ragazzi e ragazze, giovani laureati e laureate che cercate la vostra affermazione e poi …a fare l’aperitivo, una volta spento il computer e lasciato l’ufficio al 38esimo piano del grattacielo che domina la città.
Sì, perché i parametri, ineccepibili e ineccepibilmente applicati da chi redige queste graduatorie, ci restituiscono un’idea della vita, della bontà e della bellezza della vita e delle città che quella bontà e quella bellezza perseguono, completamente funzionale al trionfo dell’efficienza, della cosiddetta competitività tra aziende e persone sempre in lotta per vincere una gara, superare/sopraffare l’altro. La cultura “ipercapitalista”, cosa ben diversa dalla cultura “capitalista” nella quale il capitale e la ricchezza erano a servizio dello sviluppo della comunità e della nazione e il dinamismo di ciascuno era finalizzato certo a migliorare il proprio stato ma anche quello degli altri, ha creato finalmente la mentalità dei vincenti e degli sconfitti, dei migliori e dei peggiori, dei primi e degli ultimi. E l’idea che i primi devono diventare irraggiungibili e gli ultimi perdersi nelle lande deserte, nelle città rabberciate, nei borghi abbandonati, nelle terre rese desertiche.
Nulla ci dicono queste graduatorie sulle premesse che le sostengono e le rendono necessarie. Prendiamo la sanità. Bella scoperta. Funziona bene, meravigliosamente talora, dove la cultura ipercapitalista domina su tutti i fronti. La privatizzazione drena risorse senza risparmi anche dai luoghi dove curarsi è impossibile e recarsi in un pronto soccorso un calvario infinito. Ma nulla dicono queste graduatorie sul perché tanta disparità che mette fuori gioco e fuori causa 20 milioni di cittadini e 120mila chilometri quadrati di territorio. Cittadini e territorio che poi irridono con queste graduatorie farlocche (nello spirito che le genera non certo nella “scientificità dei dati”, ci mancherebbe).
Prendete i trasporti. Volete andare da Bari a Napoli? Non sia mai da Lecce. O volete andare, pazzi che non siete altro, dalla Puglia in Sicilia? Prendetevi l’auto e fate estrema attenzione e scordatevi aerei e treni… e dentro le vostre città volete muovervi? Le metropolitane prima o poi arriveranno e saranno musei come a Napoli, ma abbiate pazienza e, se non l’avete, andate pure a Milano. Vi muoverete come schegge. E gli aerei? Una meraviglia. In un’ora vai dove vuoi. In due giri l’Europa e con qualcosina in più l’intero mondo disegnato dalla speculazione ipercapitalista che ha assoldato anche le miserie del mondo, i luoghi desiderati e sfruttati per il divertimento, che nella nuova lingua si chiama relax, dei propri adepti.
Non sfuggono la scuola e l’Università che pure, da che mondo è mondo, erano una prerogativa del Sud al quale, erede dei Greci e dei Latini e depositario del pensiero meridiano, non restava che coltivare il sapere, il bello ed il buono, per riscattarsi.
Adesso niente. L’ipercapitalismo ha trasformato scuole e università in aziende. Conta l’efficienza e la competizione anche qui. Considerato poi che la popolazione diminuisce e la gente non fa più figli e il governo caccia gli immigrati che sono gli unici a far figli, la gara è massacrante e si gioca tutta sulla capacità di chi è più furbo, becero e ignorante di attrarre allievi. Per il resto ci sono le scuole private e le università che somministrano sapere liofilizzato e omogeneizzato ma garantiscono il posto subito e soprattutto città che sono una figata.
Potremmo continuare. Ma sia chiaro i parametri utilizzati non sono in discussione e nemmeno la scientificità del metodo e della elaborazione. Non scherziamo. La questione è un’altra. Se l’ipercapitalismo considera un’intera porzione di territorio come residuale e magari da utilizzare alla bisogna per i propri fini, non ha senso fare delle graduatorie. Perché la graduatorie nel mondo efficiente e competitivo dell’ipercapitalismo ha in sé il giudizio sull’infingardaggine degli ultimi, sulla loro neghittosità, magari sulla loro lombrosiana incapacità ad evolversi. Se poi l’ipercapitalismo può avvalersi della secolare disattenzione dello Stato verso i suoi territori e cittadini mediterranei o della Magna Graecia, considerati più o meno un peso, il gioco è davvero uno scherzo. È come far giocare Sinner con un povero praticante in un club sperduto in quei territori senza nemmeno un maestro. Se ne vanno tutti.
Potremmo concludere che quelle graduatorie se le facessero tra loro, visto che non c’è partita e che pure i fondi europei lo Stato li dirotta dove vuole l’ipercapitalismo. E invece no. Il Mediterraneo può contare su valori, capacità, volontà, obiettivi, sconosciuti all’ipercapitalismo e alle sue graduatorie. E si tratta di parametri, per una volta lasciatemi usare un termine caro all’ipercapitalismo, che sono gli unici a rendere possibile una vita degna di essere vissuta. Il pensiero meridiano, con il suo senso del limite e della misura, è l’unico antidoto che potrà salvare il mondo dal consumismo, come lo stesso Camus avvertiva allorquando il consumismo cominciava a mostrare le sue fauci. E il pensiero meridiano abita nei luoghi sfruttati come colonie ed è praticato dalle genti dimenticate e usate come eserciti di riserva, al Sud.
Dunque che le graduatorie facciano il loro corso, noi facciamo in modo che la storia riprenda il suo, ritrovando la strada maestra e abbandonando le deviazioni che conducono all’effimero odierno ed alla distruzione per post domani. Valori come la solidarietà e la compassione già indicati dal “meridionale” Giacomo Leopardi e dal “settentrionale” Virgilio, come la insostituibile sponda per l’Umanità errante, non potranno per sempre essere cancellati. Il senso della misura e del limite salveranno il caravanserraglio in cui è stato rinchiuso il villaggio globale, dal consumismo.
La bellezza redimerà il mondo oggi vittima di ogni assurda vergogna. Per averne conferma fatevi una passeggiata a Napoli, nei suoi vicoli tra cardini e decumani e non dimenticate di lasciare un caffè o una colazione sospesa per chi non se la può permettere. Andate a Palermo, a Ballarò o alla Vucciria. Andate a Bari vecchia. E infine fatevi una passeggiata sul lungomare di Reggio Calabria, con la Sicilia lì davanti e i riflessi della luce solare che dipingono di viola il mare prima dell’imbrunire. Vi convincerete che quelle graduatorie sono la negazione della vita. Quella vera e che vale la pena di essere vissuta. Intensamente.