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Il nomadismo digitale e l’attrazione esercitata dalle realtà minori

Lavoro da remoto e nomadismo digitale stanno assumendo sempre di più le caratteristiche di un mutamento nell’organizzazione economica, sociale e culturale dell’era digitale. Il lavoro da remoto sta producendo una rivoluzione non solo all’interno delle organizzazioni e nel modo in cui le persone definiscono il lavoro nella loro vita, ma sta producendo anche importanti e significativi effetti trasformativi e impatti sui territori e sulle comunità che li abitano, in particolare nei piccoli borghi. Finora infatti è stata la geografia delle attività produttive a costituire il motore trainante delle concentrazioni demografiche. Con il lavoro da remoto, lo sviluppo demografico oggi non è più connesso solo alla dimensione produttiva.

Per la prima volta, il lavoratore e le sue scelte di vita si pongono al centro delle dinamiche demografiche: il rapporto tra lavoro e territorio si modifica e l’idea che individua nella sede dell’impresa il fulcro della geografia economica, viene messa in discussione.

Il nomadismo digitale sta divenendo un fenomeno sempre più inclusivo sia a livello generazionale, è un movimento che oggi comprende artisti, studenti, produttori musicali, filmmaker, insegnanti, giornalisti, consulenti, ricercatori, architetti, medici, retired worker.

Ognuna di queste categorie diventa un target specifico, con interessi, esigenze e bisogni simili da soddisfare. Il fattore che accomuna tipologie così diverse tra loro è proprio l’esigenza di trovare uno stile di vita e di lavoro liberi dai paradigmi tradizionali, in grado di favorire mobilità, libertà e benessere e scambi culturali.

Progettare e attivare un processo di attrazione, accoglienza e ospitalità, per questa nuova generazione di lavoratori e professionisti mobili, nei nostri territori minori, attraverso strategie partecipative di sviluppo locale, rappresenta una grandissima opportunità per nostro il Paese.

Di conseguenza, l’attrazione e l’inclusione dei nomadi digitali nelle comunità rurali e periferiche del nostro Paese può portare allo sviluppo delle attività già esistenti sul territorio.

Per rivitalizzare le comunità locali garantendo un processo di attrazione, è necessario un coinvolgimento attivo di tutti gli stakeholder compresi i residenti, gli enti del terzo settore, le imprese locali, le istituzioni governative e le organizzazioni della società civile. La condizione necessaria è lo sviluppo di una progettualità che favorisca l’incontro e lo scambio tra gli abitanti temporanei provenienti da tutto il mondo e la comunità di residenti permanenti.

Per fare in modo che tutto questo si realizzi è necessario progettare un nuovo “modello di destinazione” sostenibile e a impatto sociale, che punti ad attrarre e accogliere professionisti, remote worker e nomadi digitali, (sia italiani che stranieri) come nuovi abitanti temporanei delle comunità, che vivono nei piccoli comuni delle aree interne, periferiche e marginali del nostro Paese.

Un modello di destinazione a misura d’uomo che, rispetto ai grandi centri urbani, offra qualità della vita migliore, livelli di sicurezza più alti, minore inquinamento atmosferico, cibi più sani, costo della vita inferiore, attività di wellness, natura, esperienze sociali, culturali uniche e irripetibili e nuove potenziali opportunità di lavoro e di collaborazione in progetti ad impatto sociale, integrati e comunicati in modo efficace.

E’ indispensabile, in conclusione, progettare servizi abitativi che non vadano incontro alle esigenze di nuovi visitatori, ma bensì a quelle di nuovi abitanti temporanei delle nostre comunità, secondo la formula del coliving diffuso e distribuito, mettendo a sistema l’immenso patrimonio immobiliare (spesso abbandonato, inutilizzato o sottoutilizzato) distribuito nei nostri borghi e centri minori.

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