Nei giorni scorsi la Regione Puglia, subito seguita dall’Emilia-Romagna, ha annunciato la sospensione dei rapporti di collaborazione in essere con enti dello Stato di Israele, per la politica da esso tenuta nella Striscia di Gaza, pur avendo tenuto entrambe a precisare che altro è la critica politica a quel Governo, altro sarebbe un antisemitismo da rifiutare con decisione.
Sarà utile ricordare qualche nozione di storia e diritto costituzionale. La politica estera è sempre stata un antico terreno riservato alla decisione dei sovrani (per i quali era l’altra faccia del muoversi reciprocamente guerra per l’espansione dei rispettivi territori statali) e lo è rimasta a lungo anche nella fase in cui le monarchie europee inclinavano al parlamentarismo: un’area, insomma, di prerogativa regia.
Conquistata la democrazia repubblicana e la Costituzione, essa è diventata da noi una attribuzione governativa esclusiva, sotto la sorveglianza del Presidente della Repubblica rappresentante dell’unità nazionale e presidente del Consiglio supremo di Difesa, nonché della Corte Costituzionale.
La novità è che, con la riforma del titolo V della Carta fondamentale nel 2001, è stato riconosciuto anche alle Regioni un “potere estero”, effetto di una competenza concorrente con quella statale per le fasi cosiddette “ascendente” e “discendente”, con la possibilità di intraprendere azioni per attuare – nelle materie loro spettanti – il coinvolgimento di singole parti del territorio nazionale, che è plurale per interessi, ad esempio per turismo, beni e attività culturali, industria e commercio.
Una legge ordinaria successiva – la 131 del 2003, all’articolo 6 – ha meglio disciplinato la materia, imponendo informazione reciproca e programmazione delle attività tra centro e periferie, anche nei rapporti delle Regioni con l’Unione europea e tra territori italiani e stranieri ai rispettivi confini.
Comprensibile, in questi limiti, la spinta di due Regioni dagli esecutivi di colore non omogeneo con quello centrale. Da un lato interrompere i rapporti anche scientifici, ad esempio, tra strutture universitarie nostre e corrispondenti israeliane rischia di isolare i molti cittadini di quel Paese che in esse lavorano, essendo all’opposizione del governo Netanyahu (due anni fa avversato in piazza da molti, per una progettata revisione restrittiva delle leggi fondamentali di quel Paese, privo di una Costituzione organica), ma in tempi di emergenza costretti al silenzio per non passare da nemici interni; dall’altro, in un Paese percorso come il nostro da molte e differenti sensibilità politiche, sembra peraltro opportuno trasmettere come si è fatto giusti impulsi a un governo italiano diviso: Tajani e Salvini sono stati chiari nel criticare il capo del governo di Tel Aviv e nell’intimargli di fermarsi – e così pure, dal Vaticano, Leone XIV – altri ministri lo sono stati meno o per nulla e la stessa Presidente del Consiglio è attivissima all’estero, ma su questo punto cruciale tace.
Bentornato,
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