Scusate, una domanda: ma noi siamo contro la pena di morte? Io sì. Ed è per questo che ho amato Oliviero Toscani. Le sue fotografie dei condannati a morte nelle carceri americane sono state un atto di denuncia inarrivabile: un pugno nello stomaco che arriva con la forza di una carezza.
Il fotografo Oliviero Toscani se ne è andato nel primo giorno di questa settimana e se ne è andato a modo suo. Come? Tranquillo. Raccontava che guardando il tennista promessa dello sport italiano Jannick Sinner trovava sollievo dalla sua malattia. È andato incontro alla morte senza paura, sapendo di avere la coscienza a posto.
A lasciarci, non è stato un fotografo qualsiasi, ma un genio dell’immagine, uno che è riuscito a trasformare il suo lavoro in denuncia, in provocazione e, perché no, in arte. Mai scontato, mai “politically correct”, le sue fotografie hanno rivoluzionato il mondo della comunicazione italiana e non solo. La consacrazione a guru della pubblicità gliela conferisce la Chiesa cattolica stessa, allorquando nel 1973 lo tacciò di blasfemia per la campagna pubblicitaria dei Jeans Jesus. Come dimenticare, infatti, la foto che immortalava il posteriore di Donna Jordan, accompagnato dal claim “chi mi ama mi segua” o dal “non avrai altro jeans al di fuori di me”.
Ma la definitiva consacrazione gli cadde addosso quando un oscuro pretore di provincia, ricordato solo per questo, in ossequio al disappunto della Chiesa, ordinò il sequestro dei manifesti pubblicitari a livello nazionale. Boom, Oliviero Toscani esplode a livello internazionale.
Che attraverso questi nuovi messaggi, fosse iniziata una rivoluzione culturale, ebbe a certificarlo anche Pier Paolo Pasolini, attraverso un articolo passato alla storia, dove denunciava che con questi nuovi slogan, il consumismo si impadroniva della secolare cultura della Chiesa per sfruttarla e sottometterla alla nuova filosofia di marketing, nell’auspicio di riuscire a secolarizzare se stesso. Pur temendo che ciò accadesse – e noi possiamo certificare essere accaduto – Pasolini non poté non apprezzare il coraggio dissacratorio di Oliviero Toscani. Un coraggio che ha accompagnato tutta la sua carriera e che lascia intatte nella nostra memoria una valanga di immagini tanto fortunate quanto provocatorie: dal prete che bacia la suora al lupo che bacia l’agnello, con un cromatismo di bianco e nero ad esaltarne il messaggio; dai volti dei condannati a morte americani ai malati di Aids; mille altre immagini ancora, su migranti, ambiente, omofobia, razzismo e sulla mafia.
Mai banale o volgare, le sue foto sono riuscite a veicolare messaggi che andavano ben oltre i canoni dell’estetica, per sconfinare nell’etica e nella politica. Amico di Marco Pannella è stato candidato al Parlamento con i Radicali per ben due volte. Insignito di numerosi premi e onorificenze internazionali, il suo portfolio personale di foto e amicizie è costellato di nomi che spaziano da Andy Warhol a John Lennon, da Claudia Shiffer a Monica Bellucci, da Lou Reed a Mohammad Alì, solo per citarne alcuni. Adorato dal mondo della Moda, Fiorucci, Valentino, Chanel e riverito dalle maggiori riveste internazionali come Harper.s, Bazaar o Esquire.
Insomma, Oliviero Toscani è stato un monumento della fotografia mondiale. Le sue foto sono racchiuse in un atlante, che ripercorre tutto il suo cammino creativo e che, oggi, possiamo considerare una sorta di testamento, soprattutto per quella intuizione del titolo, nel quale, con l’ironia e la sagacia che lo contraddistinguevano, quasi a sapere che un giorno avrebbe dovuto spiegarsi ai posteri, così lo titolava: “Ne ho fatte di tutti i colori”. Noi lo abbiamo apprezzato proprio per questo.