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I nodi irrisolti dietro il boom degli occupati

Qualcuno accuserà il sottoscritto di voler trovare il pelo nell’uovo. Ma i dati sull’occupazione recentemente diffusi dall’Istat vanno letti e interpretati con attenzione, senza cedere ai trionfalismi del governo Meloni o al pessimismo di chi vuole vedere sempre tutto nero. E così, se è oggettivamente positivo il fatto che a giugno il numero di persone con un impiego sia aumentato e che il tasso di disoccupazione si sia ridotto, meritano una riflessione alcuni aspetti come l’ancora troppo alto livello di giovani inattivi e le difficoltà di alcuni comparti come il manifatturiero.

Partiamo, come sempre, dai numeri. A giugno l’Istat parla di un incremento degli occupati pari a 16mila unità rispetto a maggio, con il numero degli occupati pari a 24milioni e 326mila unità. I dipendenti permanenti aumentano a 16 milioni e 542mila, gli autonomi a 5 milioni e 274mila, mentre i dipendenti a termine calano a 2 milioni e 510mila. Su base mensile, il tasso di occupazione è stabile al 62,9% mentre il tasso di disoccupazione complessivo diminuisce fino al 6,3 e quello giovanile risulta in discesa al 20,1%. Le note positive riguardano soprattutto le donne, i dipendenti permanenti e gli autonomi, soprattutto over 50. Sono loro i protagonisti di questa ennesima impennata della quota di persone occupate. La crescita di 16mila lavoratori registrata a giugno, infatti, è il frutto di un aumento di 74mila permanenti che si somma a un incremento di 20mila autonomi e ai quali va sottratto il calo di 78mila dipendenti a termine.

Il quadro, però, cambia se si analizzano attentamente le fasce d’età. Il maggiore dinamismo degli occupati senior è confermato nel confronto mensile, perché i 16mila occupati in più rilevati dall’Istat a giugno sono trainati dagli over 50, che aumentano di 50mila unità, e in maniera più attenuata dalle fasce d’età comprese tra 25 e 34 anni, dove si nota un +11mila, e 15-24 anni, dove l’incremento è di 9mila unità. Questi numeri in ascesa, però, compensano il sensibile calo di lavoratori nella fascia centrale, cioè in quella compresa tra i 35 e i 49 anni: qui la riduzione è addirittura di 54mila unità. Depurato della componente demografica, dunque, il tasso di occupazione su base annua cresce soltanto tra i 50 e i 64 anni. Vuol dire che a “spingere” il mercato del lavoro sono i senior e non certamente i giovani. E infatti, allargando lo sguardo ai dati diffusi recentemente dall’Eurostat, a giugno il tasso di disoccupazione destagionalizzato si attesta al 6,3% in Italia a fronte di un tasso medio di senza lavoro nell’Eurozona pari al 6,2, stabile rispetto a maggio e in calo rispetto al 6,4 di giugno dello scorso anno. Il tasso di disoccupazione in Europa si ferma a quota 5,9%, stabile su mese e in calo rispetto al 6% di giugno 2024. Peccato che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia sia ancora al 20,1% a fronte del 14,7 medio dei 27 Paesi europei e del 14,1 della zona Euro.

Che cosa vuol dire? La crescita occupazionale continua, anche se con un certo rallentamento. Dal punto di vista qualitativo, la dinamica contrattuale è certamente positiva, con una crescita degli occupati a tempo indeterminato. Ma è il dato anagrafico che non lascia dormire sonni tranquilli: la componente over 50 spiega gran parte della tenuta del mercato del lavoro, grazie a una permanenza più lunga rispetto al passato, anche per effetto delle riforme pensionistiche recentemente approvate.

Il numero di giovani in cerca di lavoro e quello di inattivi, dunque, restano piuttosto alti, soprattutto se confrontati con quelli degli altri Paesi europei e dell’Eurozona complessivamente considerata. E a questo motivo di preoccupazione si aggiunge la crisi di alcuni comparti, a cominciare dal manifatturiero, dove torna a crescere il ricorso alla cassa integrazione. Insomma, la dinamica occupazionale, positiva ormai dal 2022, non può oscurare alcuni nodi mai sciolti del mercato del lavoro di casa nostra, per il quale il governo Meloni farebbe bene a trovare finalmente soluzioni strutturali ed efficaci.

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