Il mondo si è svegliato da un lungo sonno e non sembra riconoscersi più. Già all’indomani dell’ultima guerra mondiale il risveglio dall’incubo era stato faticoso. La bomba di Hiroshima e Nagasaki lo aveva terrorizzato. Genocidi, distruzione, morte e quel fungo atomico avevano piegato e piagato l’umanità. All’indomani della guerra nazista essa si ritrovò, in sovrappiù, alle prese con la deriva sovietica che impose una netta divisione tra mondo libero e mondo pianificato. La cortina di ferro postbellica aveva, in modo traumatico, posto fine all’euforia della liberazione. La spaccatura della Germania tra Est e Ovest e il muro di Berlino ne erano i segni più eclatanti oltre che evidenti, ma questi erano percepibili anche ai confini con l’Italia, nel Mediterraneo e nei Balcani. La militarizzazione dell’Europa, per gran parte poggiata sulle spalle degli Usa, fu una conseguenza obbligata per scoraggiare le mire imperialistiche del’Urss. In Occidente il sapore della libertà dava le vertigini allo stesso modo in cui nell’Est la rassegnazione, condita di inutili conati di ribellione individuale e collettiva, segnava la vita delle persone e dei popoli. Si trattava di due estremi che divennero i poli di un cortocircuito che l’umanità cercava spasmodicamente di provocare per riconoscersi come entità unica ed indivisibile. Le fughe e le corse da una parte all’altra divennero altrettante testimonianze di questo anelito. Dopo la repressione ungherese del 1956, all’indomani della primavera praghese del 1968, Jan Palach si diede fuoco per protestare contro l’invasione di Praga da parte dei carri armati sovietici e Milan Kundera lasciò la più bella città del mondo per vivere libero a Parigi.
Intanto la ricostruzione andava avanti in Occidente. I miracoli economici si susseguivano con le straordinarie prestazioni delle economie “libere”. Germania, Giappone e Italia, usciti devastati dalla guerra, presero a correre divenendo protagonisti di una storia mai prima sperimentata. E il terzo mondo, quello avulso dalla realtà occidentale che accatastava sviluppo, ricchezza e libertà, ma anche da quella sovietica che puntava alla supremazia militare senza tuttavia rinunciare a una crescita economica sia pure residuale, guardava con sentimenti di ammirazione a quanto succedeva lontano dai suoi confini. E cominciò una sfida sotterranea tra Est e Ovest per dominare il resto del mondo e condurlo nella propria sfera di influenza. Intanto l’Africa cercava una sua difficile strada, in presenza dei guasti dell’antica tutela coloniale e al di fuori dell’interesse europeo a presidiare il Mediterraneo. E iniziarono guerre regionali, occupazioni e violenze territoriali ovunque, nell’estremo Oriente, in Indocina, nel medio e vicino Oriente, in Afghanistan e in Sud America dove la spinta schizofrenica tra rivoluzione e reazione produsse i suoi frutti più nefasti.
Proliferarono le dottrine di dominio e controllo del mondo. Il segretario di Stato americano Kissinger, con Nixon presidente, ne fu l’interprete più convinto sino a provocare il disastro cileno con il golpe che portò alla morte di Salvator Allende ed alla dittatura di Pinochet. Tali dottrine non mancarono di cinici voli pindarici come la diplomazia americana del ping-pong che puntava a influenzare le politiche economiche della Cina nel tentativo di rompere la solidarietà comunista con l’Urss. Ma contestualmente movimenti profondi si muovevano nello scenario geopolitico mondiale.
Il club Bilderbeg, che tra i potenti aveva fatto proseliti in ogni dove, Italia compresa, andava affermando la dottrina del governo unico del mondo che tuttavia era cosa ben diversa dal ruolo istituzionale dell’Onu. Interprete e protagonista di quella dottrina sarebbe stato il movimento ipercapitalista che intanto aveva snaturato il concetto di mercato e di economia codificati da Smith, Ricardo, Schumpeter e gli economisti classici per sostituirli con la finanza e la produzione priva di limite e misura. La finanza divenne la strada maestra per controllare il mondo intero, Cina e Urss comprese, mentre il consumismo avulso da ogni contesto umano e territoriale venne elevato a religione dei popoli e il possesso a mistificante droga degli individui. Il crollo del Muro di Berlino, l’implosione dell’Urss e l’avvento della potenza industriale della Cina rendevano tutto più facile alla cuspide del club Bilderbeg. Davvero si era a un passo dal governo unico del mondo. L’irruzione dell’ultima rivoluzione industriale, quella quantistico-tecnologica e digitale, provvide a spazzar via le ultime resistenze. Il mondo connesso era diventato un villaggio globale e tale sarebbe rimasto con la progressiva cooptazione di parti sempre più cospicue entro i confini della produzione industriale. Di pari passo la ricchezza prese a concentrarsi irrimediabilmente in un numero di mani sempre più ridotto. Mani indipendenti dai Paesi di origine e che anzi questi ultimi strozzavano impedendone lo sviluppo armonioso e integrato centrato sulla cultura, la ricchezza e la felicità condivisa. La teoria del club Bilderbeg, centrata sull’idea di rovesciare i principi del governo democratico del mondo spostando il focus degli Stati dalla gestione pubblica a quella privata, fece il resto. La grande rivoluzione digitale decretò il monopolio degli oligarchi sparsi in ogni parte e regime del mondo oltre che ai vertici della finanza privata. La presenza pubblica, teorizzata dalla scuola keynesiana in Occidente e dal marxismo in Oriente, venne ridotta all’irrilevanza. Anche l’esplorazione spaziale, la sicurezza dei cieli e delle nazioni divenne questione privata, andando al di là dell’organizzazione capitalista o collettivista degli Stati. Bilderbeg e l’iper capitalismo avevano vinto su tutta la linea e preso il sopravvento anche a Est e ovunque nel mondo, compreso quello islamico ormai conquistato dall’idea di partecipare al governo mondiale. Le isole integraliste islamiche eranoridotte a fenomeni di superfetazione ideologica destinati a scomparire, sconfitti dal loro stesso estremismo violento, malattia infantile dell’islamismo, per parafrasare un’affermazione di Lenin divenuta famosa nel mondo comunista.
Nel contempo era cominciato il lungo sonno dell’umanità. Energia a basso costo, benessere a portata di mano, nonostante l’abnorme concentrazione della ricchezza, dilatazione dei confini dell’edonismo cinico oltre ogni consistenza più o meno sostanziale e duratura, ne erano gli elementi costitutivi e rassicuranti. Il sonno produsse il sogno di un mondo davvero senza confini e di una umanità solidale. Ma presto esso si trasformò in un nuovo incubo. Il lavoro era stato ridotto ovunque allo stato di merce senza valore. Nell’Occidente montarono le frustrazioni pregne di astio contro quanti partecipavano ai processi produttivi fuori dai loro confini ed esse si trasformarono in spinte razziste. Nel terzo e quarto mondo iniziarono le migrazioni. Guerre e violenze esplosero in ogni parte e la diplomazia faceva sempre più fatica a porvi argine. Anche le religioni vennero sopraffatte e cominciarono a benedire eserciti e guerre. L’umanità si trovò spaesata, spaventata e impoverita ovunque, anche in Occidente. Di pari passo prendevano piede, in luogo dello Stato solidale, politiche assistenziali per chi aveva perso il lavoro o il lavoro non aveva mai conosciuto, suggerite e praticate da chi deteneva la ricchezza mondiale e controllava gli Stati in attesa di riempirli di androidi e “pecore elettriche”. La politica aveva abdicato al suo ruolo di governo dei processi di emancipazione dei popoli e rinunciato all’obiettivo di ricercare la felicità secondo il principio di Gaetano Filangieri che era stato accolto, prima di tutti, dagli Stati Uniti d’America al tempo della loro Costituzione. L’economia ormai controllava la politica e, attraverso la politica, gli Stati. E questi divennero aziende. Istituzioni pubbliche, scuola, università, sanità, ricerca e industria nazionale, fino ad allora considerate essenziale per lo sviluppo, vennero declinate secondo i paradigmi aziendali e ogni azione piegata al principio della massimizzazione dei profitti a favore di chi deteneva le leve del comando a detrimento dei costi del lavoro, ormai merce anonima e amorfa. La deriva autoritaria divenne una conseguenza obbligata e una scelta consapevole. Le democrazie, dal canto loro, continuavano a dormire incapaci di svegliarsi e prendere atto che il loro sogno si andava trasformando in incubo. L’ipercapitalismo aveva prodotto il cerbero dalle tre teste che azzannavano il mondo in attesa di azzannarsi per il dominio del pianeta.
Bentornato,
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