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Disparità e poche risorse: rischio flop sugli asili nido

E se le speranze legate all’incremento dei posti negli asili nido venissero tradite? La domanda non è peregrina se si considerano i divari territoriali nell’offerta, destinati a resistere anche dopo la chiusura del Pnrr, e la distribuzione delle risorse per la gestione, al momento non sufficienti per consentire ai Comuni di finanziare il servizio.

Altro che aumento dell’occupazione femminile e del prodotto interno lordo, quindi: il rischio è l’ennesimo flop che, ovviamente, penalizzerebbe soprattutto il Mezzogiorno.

In Italia i bambini da zero a tre anni, dunque, potenziali fruitori dei servizi educativi per la prima infanzia, sono il 2% del totale, mentre le famiglie con almeno un figlio in quella fascia di età non raggiungono il 6. Tra 2012 e 2022 l’offerta di quei servizi, messi a disposizioni da enti pubblici e privati, è aumentata passando dal 22,5 al 30%, complice il calo delle nascite nella misura del 35%. Eppure non basta: i posti negli asili nido sono soltanto 30 ogni cento bambini tra zero e tre anni e la crescita è stata disomogenea, visto che in regioni meridionali come la Campania si supera a stento la soglia del 13% e in quelle del Centro-Nord come l’Umbria si sale sopra il 46.

Dal Pnrr ci si aspettava la svolta. In un primo momento, il Piano aveva destinato 4,6 miliardi all’attivazione di 265mila posti tra asili nido e scuole dell’infanzia; poi la Commissione europea ha ridimensionato l’obiettivo, consentendo una spesa di 3,29 miliardi per creare 150mila posti per i bambini da zero a due anni: l’investimento permetterà di raggiungere una copertura del 41%, non lontana dal 45 previsto per il 2030.

Il primo problema, però, sono le differenze territoriali. Già, perché 55 province italiane su 107 supereranno la soglia del 45%. Solo 16, però, si trovano al Sud e tra queste spiccano Lecce, Brindisi e Potenza. Altre otto province, per, non raggiungeranno nemmeno il 30% di copertura e tra queste c’è la Bat. Un ulteriore problema è dato dal fatto che l’incremento dei posti negli asili nido non è sempre maggiore nelle province dove è maggiore la carenza di quel servizio: basti pensare che Napoli e Catania hanno una copertura di circa il 12% e che la loro crescita non andrà oltre i dieci punti, mantenendole ben lontane dall’obiettivo del 45% entro il 2030.

Altra questione è quella dei fondi stanziati per la gestione dei nidi. Per il 2024 sono stanziati 230 milioni, destinati ai Comuni la cui offerta pubblica e privata di servizi educativi per la prima infanzia era inferiore al 28,8 per cento nel 2018. La suddivisione delle risorse, però, consentirò solo al 31% delle amministrazioni di attivare nuovi posti attraverso il Pnrr e il Piano Nidi, mentre ben 2mila amministrazioni non ci riusciranno pur ricevendo i soldi del Fondo di solidarietà comunale. E, immancabilmente, il 22% di questi Comuni si trova al Sud e il 12 nelle isole, cioè nei territori che avrebbero maggior bisogno di un rafforzamento dei servizi all’infanzia.

Insomma, come l’economista lucano Carmelo Petraglia ha opportunamente osservato in un suo recente lavoro, sugli effetti della prevista attivazione di nuovi posti negli asili nido pende una doppia spada di Damocle. Non solo quella dei divari territoriali nell’offerta del servizio, ma anche e forse soprattutto quella della suddivisione delle risorse per la gestione dei nuovi posti: gli attuali criteri rischiano di creare incertezze, scoraggiare gli investimenti e spianare la strada ai privati. Bisogna al più presto correggere il tiro. A meno che non si voglia continuare a privare numerosi territori di un servizio indispensabile per favorire l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, accrescere il reddito complessivo delle famiglie e il prodotto interno lordo, educare i bambini sin dalla più tenera età e soprattutto ridurre le disuguaglianze che continuano a dilaniare il Paese.

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