Il Sud Italia non è un problema da risolvere, è la soluzione che nessuno ha ancora avuto il coraggio di abbracciare. È la terra dove il futuro sta già prendendo forma, solo che ce ne accorgeremo quando altri ne avranno fatto il loro spazio di conquista. Da sempre ci raccontano che siamo il fanalino di coda, il luogo del ritardo, della rincorsa, del bisogno. È una narrazione falsa e tossica, costruita su un paradigma vecchio e superato. La verità è che il mondo sta girando, e noi siamo nel punto esatto dove le nuove traiettorie si incrociano. Il Mediterraneo è la chiave di tutto: rotte commerciali, energia, tecnologia, infrastrutture. È la porta tra l’Europa e l’Africa, il luogo dove la prossima grande rivoluzione economica e politica si compirà. Ma mentre il resto del mondo ha già iniziato a muoversi, noi restiamo impantanati nella paura di osare, nel timore di dichiarare che il nostro tempo è arrivato.
L’Africa è il continente più giovane e dinamico del pianeta, e noi siamo il ponte naturale per il suo sviluppo. È lì che si gioca la grande partita dell’energia, della manifattura, della logistica. Chi oggi non sta investendo in questa direzione domani sarà fuori dai giochi. Eppure, l’Italia sembra prigioniera di una visione vecchia, incapace di vedere oltre i propri confini immediati.
Non è più tempo di politiche di sussistenza, di rincorrere finanziamenti per tamponare l’emorragia di talenti e risorse. È tempo di ribaltare il tavolo, di costruire un’economia che abbia il coraggio di guardare il futuro negli occhi, senza paura. Il Sud non ha bisogno di elemosine, ma di scelte strategiche. Di politiche che mettano fine alla retorica dell’assistenzialismo e della precarietà. Basta con i pannicelli caldi. Servono investimenti veri, servono infrastrutture degne di un Paese che vuole giocare una partita globale, serve una visione industriale che faccia del Sud il cuore produttivo dell’Italia, e non la sua periferia.
E per farlo serve una mentalità nuova, che parte dal nostro modo di vivere e di pensare. Il Sud non è solo un luogo geografico, è un’idea, una visione del mondo. Ed è qui che entra in gioco il meriggiare. Fermarsi non è un lusso, è una strategia. Guardare oltre non è un vezzo, è un’esigenza. Chi sa meriggiare non è chi si adagia, ma chi sa aspettare il momento giusto per agire. È il contrario della frenesia cieca che ha travolto il mondo occidentale, producendo ansia, insoddisfazione e fallimenti annunciati. Il meriggiare è il tempo della costruzione, della riflessione che precede il passo decisivo.
Il Sud non deve correre per stare dietro agli altri, deve prendere la sua strada e costringere gli altri a seguirlo. Serve visione, serve una classe dirigente che non sia figlia della paura, serve una generazione che capisca che la sfida non è scappare ma restare e trasformare. E serve una nuova narrativa, che dica con forza che chi investe nel Sud investe nel futuro dell’Italia intera. Perché senza un Sud forte, l’Italia non sarà mai un Paese forte.
Siamo il baricentro di un nuovo sistema economico mondiale che si sta delineando sotto i nostri occhi proprio in questi mesi. Ma il tempo per capirlo è adesso. Chi arriva dopo, raccoglierà solo le briciole.
Bentornato,
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