Negli ultimi anni, l’occupazione femminile in Italia ha mostrato segnali di crescita, ma le disparità territoriali e di genere restano marcate, soprattutto nel Mezzogiorno. Il recente rapporto Cnel-Istat, curato da Cristina Freguja, Clelia Romano e Linda Laura Sabbadini, evidenzia come la Puglia, al pari di altre regioni meridionali, registri un tasso di occupazione femminile significativamente inferiore rispetto al Centro-Nord e alla media europea.
Il divario, dunque, è ancora profondo. Nel terzo trimestre del 2024, il tasso di occupazione femminile in Italia si attestava al 52,5%, con un aumento rispetto al passato, ma ancora distante dagli altri Paesi dell’Unione europea. Il divario con la media continentale supera i 12 punti percentuali e in Germania arriva a toccare i 20 punti. In Puglia, la situazione rispecchia le difficoltà dell’intero Mezzogiorno: appena il 37% delle donne tra i 15 e i 64 anni risulta occupata, mentre al Nord si supera il 62%. Questo gap è particolarmente evidente tra le madri lavoratrici, che spesso abbandonano il mercato del lavoro a causa della scarsa disponibilità di servizi per l’infanzia e di modelli familiari ancora poco paritari.
Uno degli aspetti positivi evidenziati dal rapporto riguarda il ruolo dell’istruzione, in particolare i titoli di studio e le opportunità lavorative. Le donne pugliesi con un titolo di studio elevato, in particolare laureate, hanno più possibilità di trovare un impiego e di ridurre il divario con gli uomini. Il tasso di occupazione delle laureate è infatti quasi tre volte superiore rispetto a quello delle donne con licenza media. Tuttavia, permane una segregazione nei percorsi di studio e nelle scelte professionali: poche donne scelgono materie Stem (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), mentre si concentrano prevalentemente in settori meno remunerativi come l’istruzione e i servizi alla persona.
Un altro nodo critico riguarda la qualità dell’occupazione, con particolare riferimento alla precarietà del lavoro femminile. Il 31,5% delle donne occupate lavora a tempo parziale, spesso in maniera involontaria, e la percentuale sale al 41% tra le madri di età compresa tra i 25 e i 34 anni. La vulnerabilità lavorativa è più diffusa tra le giovani, le residenti nel Sud e le straniere. Inoltre, i settori con maggiore presenza femminile – come il commercio, la ristorazione e i servizi alla famiglia – sono quelli caratterizzati da stipendi più bassi e contratti meno stabili.
Nonostante le difficoltà, cresce il numero di imprese guidate da donne. In Puglia, le aziende a conduzione femminile rappresentano circa il 30% del totale, con un impatto positivo sull’occupazione locale. Tuttavia, le imprenditrici incontrano più ostacoli nell’accesso al credito e alle risorse necessarie per far crescere le loro attività. Migliorare le politiche di supporto all’imprenditoria femminile potrebbe contribuire a ridurre il divario occupazionale e a rafforzare l’economia del territorio.
Uno dei principali freni all’occupazione femminile in Puglia è la carenza di servizi per la prima infanzia che consentano alle donne di conciliare più facilmente gli impegni familiari e quelli professionali. La copertura dei posti negli asili nido è inferiore alla media nazionale e lontana dagli standard europei. Questo ostacolo pesa soprattutto sulle giovani madri, molte delle quali si trovano costrette a rinunciare al lavoro.
I dati analizzati evidenziano come il cammino verso la parità nel mondo del lavoro è ancora lungo, soprattutto in regioni come la Puglia. Le politiche pubbliche dovrebbero concentrarsi su tre aspetti fondamentali: l’aumento dell’accesso ai servizi per l’infanzia, il sostegno all’imprenditoria femminile e la promozione di percorsi formativi che aprano a migliori opportunità di carriera. Solo così sarà possibile colmare il divario di genere e rendere il lavoro femminile una risorsa pienamente valorizzata per l’economia del territorio.